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 2009  luglio 31 Venerdì calendario

SOTTO L’OMBRELLONE ACCANTO A UN MORTO


L’indifferenza dei bagnanti: c’è chi spalma la crema e chi si tuffa

C’è un ombrellone rovescia­to sulla battigia sotto il quale è adagiato il cadavere di un uo­mo interamente coperto da un lenzuolo e da un asciugama­no. A un paio di metri, una bor­sa e una sedia da bar vuota. Siamo sulla cosiddetta Mappa­tella Beach, pieno lungomare di Napoli, su via Caracciolo, dove ai napoletani piace fare il pic nic. Quel che è successo, si può anche raccontare dopo, ma sono le fotografie a colpire per prime. Intorno al corpo senza vita, c’è una spiaggia estiva moderatamente affolla­ta: una donna dalla schiena ab­bondante di pieghe che spal­ma la crema sulle spalle di una signora con cappellino bian­co, un gruppetto di uomini che sembra chiacchierare le mani incrociate sul dorso, chi continua a prendere la tintarel­la, chi si sistema sulla sdraio, chi stende il suo telo sulla sab­bia, chi si bagna i piedi, chi leg­ge, un ragazzino che corre a tuffarsi nel mare calmissimo. C’è anche un cane accucciato dietro una sedia. Agghiaccian­te normalità da solleone. Nor­malità con morto. Solo un bambino e un anziano poco di­stanti gettano uno sguardo a quell’uomo disteso sotto il len­zuolo, con un’aria di attesa, le mani sui fianchi. Il resto sono occhi che guardano altrove, anzi che fanno di tutto per evi­tare di incrociare l’immagine della morte così sfacciatamen­te immobile. O forse no, non evitano niente, non la vedono e basta. L’ombrellone rovescia­to li aiuta a schermare uno scandalo tanto intollerabile.

L’uomo aveva 73 anni, si chiamava Antonio Sommari­pa, abitava nel quartiere Mia­no e in mattinata i bagnanti hanno visto galleggiare il suo corpo (che per quanto ne sape­vano poteva essere ancora in vita) su quell’innocuo e picco­lo specchio d’acqua chiuso da­gli scogli, dove dicono che non annegherebbe neanche un bambino lasciato solo. Inve­ce di soccorrerlo, hanno preso un telefonino e hanno chiama­to il 118, perché ci pensassero i medici del Pronto Soccorso a fare il possibile (l’impossibi­le). Solo dopo, qualcuno ci ha ripensato e ha deciso di trasci­narlo a riva. I medici non han­no potuto che constatarne il decesso per annegamento. Niente bagnini, sulla spiaggia centrale di Napoli? Niente ba­gnini, a quanto pare. Ma so­prattutto, nessuna pietà sulla spiaggia centrale di Napoli? Nessuna pietà. A giudicare dal­l’agghiacciante normalità di quelle scene, dove nulla riesce a turbare i sacri rituali preago­stani, un morto vale una sedia vuota, una borsa abbandona­ta, un cestino dei rifiuti.

Rifiuto esso stesso, se si può continuare a leggere un li­bro o il giornale con un cada­vere a due passi, se si riesce ad aprire un tubetto per spalmar­lo sulle spalle arrossate del­l’amica, se si può rimanere sdraiati pancia all’aria e gam­be divaricate ad abbronzarsi. Neanche i sassi che circonda­no la Mappatella Beach sem­brano capaci di tanta indiffe­renza di fronte a un uomo mor­to. C’è una famosa poesia di Ungaretti, intitolata «Veglia», in cui un soldato evoca una nottata di guerra del ”14 passa­ta a fianco di «un compagno / massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione delle sue mani»: ricorda che in quella notte, disteso a fianco della morte («penetrata nel mio si­lenzio »), non si è sentito mai «tanto attaccato alla vita» e ha cominciato a scrivere «lettere piene d’amore». Ci vuole il massacro di una guerra per avere tanto rispetto della mor­te, e perciò della vita? O lo si può avere non solo sotto il ple­nilunio ma nel solleone, non solo al fronte ma anche su una spiaggia, non solo in divisa ma anche in costume da ba­gno? Con le pance sporgenti, con le gambe adipose? Insom­ma, in tempo di pace. E di be­nessere.