Cecilia Zecchinelli, Corriere della sera 31/7/2009, 31 luglio 2009
NERI E ARABI CONTROLLATI PIU’ DEI BIANCHI
I luoghi Sotto esame cinque punti dentro o vicino alle due stazioni della Gare du Nord e di Châtelet-Les Halles, tra le più frequentate
Ricerca su Parigi: minoranze prese di mira nelle verifiche «casuali» della polizia in metrò
La Francia della laïcité che vieta hijab, crocefissi e kippah nelle scuole, perché ostacoli all’integrazione. La Francia che ritiene fallimentare il multiculturalismo messo alla prova dal caso olandese di Theo Van Gogh (il regista ucciso per il film anti- islamico «Submission») o da quello più recente del professore Henry Gates di Harvard (ricevuto ieri sera da Obama dopo l’ ingiusto arresto). Ma anche la Francia delle banlieues degli immigrati arabi, esplose nel 2005 dopo l’uccisione di due ragazzi da parte delle forze dell’ordine. E dei tanti atti di razzismo di flics e gendarmes denunciati finora unilateralmente da minoranze e da Ong, che sembrano adesso confermati – per la prima volta – da uno studio scientifico. La ricerca è stata voluta e finanziata dalla fondazione Open Society Institute del miliardario americano di origini ungheresi George Soros, impegnato da anni in una battaglia globale contro il razzismo.
«I cittadini francesi di origine straniera, soprattutto quelli di origine nord-africana e sub-sahariana, si lamentano da tempo di essere oggetto di controlli polizieschi discriminatori e ingiusti.
L’inchiesta ha confermato che la polizia si basa in effetti sull’apparenza e non sul comportamento, su quello che la gente sembra piuttosto che su quello che fa – sostengono Fabien Jobard e René Lévy, i due sociologi coordinatori della ricerca condotta dal Centre National de la Recherce Scientifique, il Cnr transalpino ”. In particolare: per i ’neri’ le probabilità di essere fermati dalla polizia sono 7,8 volte più alte che per i ’bianchi’. Per gli ’arabi’ sono 6 volte di più».
Lo studio – raccolto in un ponderoso rapporto dal titolo «Polizia e minoranze visibili» – è stato compiuto in cinque punti dentro o vicino alle due stazioni parigine della Gare du Nord e di Châtelet-Les Halles. Luoghi prescelti perché da lì, a ogni ora, passano migliaia di persone di ogni tipo, e i controlli di polizia sono frequenti. Tra l’ottobre 2007 e il maggio 2008, in giornate qualsiasi, un gruppo di osservatori ne ha seguiti discretamente 525, filmandoli con telefonini e annotando età, sesso, abiti, aspetto delle persone che passavano vicino alle pattuglie, in genere ignorate, e di quelle fermate. Queste ultime, poi, sono state intervistate, per sapere quanto frequentemente capitasse loro di essere controllate (molte hanno risposto «spesso»), se fossero state trattate bene (in genere sì), se fosse stato spiegato il motivo del controllo (quasi mai).
Ma la parte centrale della ricerca ha riguardato i criteri in base ai quali i «sospetti » sono stati ritenuti tali. E così, è emerso che se sulle 38 mila persone passate accanto alle pattuglie i «bianchi» erano il 57,9%, i «neri» il 23% e gli «arabi » l’11,3%, i fermati appartenenti ai tre gruppi sono stati rispettivamente 141, 201 e 102. Questione di look, concludono quindi Jobard e Lévy, e questo non vale solo per il colore della pelle. Anche l’abbigliamento, infatti, è spesso motivo di fermo. «Le persone che indossano abiti associati a ’culture giovanili’ come l’hip-hop, il gotico, il tecktonik o il punk sono solo il 10% della popolazione, ma hanno rappresentato il 47% dei fermati», dicono i ricercatori del Cnrs. Ma il dato, aggiungono, conferma ancora una volta il racial profiling , ovvero l’inclusione di elementi razziali nel sospettare qualcuno come possibile criminale.
Due ragazzi su tre, tra quelli così vestiti e fermati dalla polizia, appartengono infatti a minoranze etniche: gli «arabi» e i «neri», ad esempio, adorano i cappucci.
I risultati dell’indagine, corredata da varie raccomandazioni alle autorità per creare reciproca fiducia tra le forze dell’ordine e le minoranze, hanno fatto parlare in Francia. Ma sono stati respinti dal governo: «Non è esatto affermare che i controlli sono effettuati in base all’aspetto fisico – ha dichiarato Christian Estrosi, ministro dell’Industria, molto vicino a Nicolas Sarkozy, autore della nuova e contestata legge sulle bande armate ”. E in quella stessa indagine, solo il 3% delle persone fermate ha protestato, l’82% non ha avuto niente di cui lamentarsi». Nessun commento, invece, dai vertici della polizia francese: nemmeno sulle raccomandazioni per controlli più «etnicamente corretti», già iniziati a diventare realtà ad esempio in Spagna e in Ungheria.
«La ricerca ha alcuni punti deboli ma offre spunti molto interessanti anche per l’Italia – sostiene Enzo Letizia, segretario nazionale dell’Associazione funzionari di polizia ”. Punti deboli perché è stata effettuata solo a Parigi in due zone ad alto traffico, dove la gente si comporta tutta nello stesso modo e per ovvi meccanismi psicologici sono le differenze d’aspetto a contare. Spunti interessanti perché lo studio indica che sarebbero necessarie, anche da noi, direttive su come effettuare meglio i controlli ».
Per Letizia bisognerebbe allargare la visione all’intero territorio nazionale. «Se facessimo un simile studio a Roma e Milano i risultati sarebbero probabilmente identici – spiega ”, con la differenza che da noi i rom hanno una presenza più importante che in Francia e questa etnia esprime un’emergenza per furti e borseggi: un dato che emerge dalle statistiche, purtroppo, non certo da pregiudizi razzisti. Ma se guardiamo ad esempio alle zone ad alto rischio mafioso, i controlli di polizia riguardano in modo preponderante gli italiani». Così, quando era giovane funzionario a Malpensa durante la guerra del Golfo, Letizia ricorda che l’attenzione era rivolta ai passeggeri in arrivo dai Paesi a rischio terrorismo, ma non meno a quelli provenienti dalla Sicilia o dall’America latina per le emergenze mafia e droga.
Vero è che anche in Italia l’aspetto conta, lo prova la recente protesta di Marcello Veneziani su Libero : il suo «aspetto vagamente arabo-islamico- mediorientale», ha scritto, lo sottopone a continui controlli e perquisizioni. Ma per Letizia il racial profiling da noi «non è avvertito». «Qui – dichiara – siamo ferrei sulla formazione e sul comportamento dei nostri uomini. La deontologia è vitale e la nostra organizzazione è da sempre impegnata a favore l’integrazione». Anzi, aggiunge Letizia, l’Associazione dei funzionari di polizia si sta battendo perché nelle forze dell’ordine vengano assunti immigrati di seconda generazione, che sarebbero utilissimi a livello linguistico, tecnico e culturale. «Avere dei Petrosino arabi, cinesi o rom significherebbe maggior integrazione ma anche più sicurezza per l’intero Paese. Negli Usa l’hanno fatto con ottimi risultati», dice. In Italia, però, i tempi non sembrano maturi: «Nel 2008 – rivela Letizia – abbiamo mandato una lettera con questa proposta a tutti i candidati premier. Nessuno ci ha risposto, e finora non si è mosso niente ».