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 2009  luglio 31 Venerdì calendario

ACQUEDOTTI, PONTI E STRADE: COSI’ LA CASMEZ DURO’ 40 ANNI


ROMA – Per le strade dei paesini del Sud si possono an­cora non di rado vedere i tombini con la scritta «Cassa per il Mezzogiorno». Ha lasciato un segno profondo nella storia della ricostruzione postbellica l’ente «per le opere straordi­narie di pubblico interesse nell’Italia meridionale», istituito dal governo nel 1950 su intuizione di Pasquale Saraceno, l’economista che dedicò tutta la sua vita alla ripresa del Sud, nonostante fosse nato a Morbegno, in Lombardia, guarda caso a pochi chilometri da Sondrio, città natale di Giulio Tre­monti, il ministro dell’Economia che ora vuole resuscitare la Casmez.

Acquedotti, reti fognarie, strade, ponti, sono solo alcune delle realizzazioni che ai tempi d’oro della cassa contribuiro­no a dare un minimo di infrastrutture e servizi alle popola­zioni delle zone più povere del Paese. Inizialmente la Cassa doveva durare 10 anni, ma poi, come spesso succede in Ita­lia, cominciarono le proroghe, sempre accompagnate da co­spicui rifinanziamenti, e la struttura finì per trasformarsi in un carrozzone clientelare. La spesa esplose. Lo stanziamen­to al momento della sua costituzione, nel 1950, era di mille miliardi di lire per 10 anni, il 66% dei quali dedicati ad opere di bonifica e il 20% alla costruzione di strade e acquedotti. Qualche anno dopo arrivarono gli incentivi per le imprese (crediti agevolati e contributi a fondo perduto) e la Cassa si indirizzò sempre di più verso la promozione dell’industria­lizzazione del Sud, anche allo scopo di frenare la migrazione verso le fabbriche del Nord. I risul­tati furono scarsi in rapporto alla mole di risorse pubbliche spese e talvolta lasciarono pesanti eredità dal punto di vista ambientale, co­me le cosiddette «cattedrali nel de­serto », grandi impianti industriali destinati al fallimento.

Tutto si ruppe, ma la cosa era già nell’aria, quando nel 1984 fu bocciato l’ennesimo decreto di proroga della Cassa e il governo guidato allora da Bettino Craxi de­cise di porre in liquidazione la struttura. In realtà, per sette anni ancora si andò avanti con l’inter­vento straordinario per il Mezzo­giorno, questa volta sotto la dire­zione dell’Agenzia per il Sud. Ci volle la determinazione di un economista come Beniamino Andreatta, ministro del Bi­lancio nel governo Amato, per porre definitivamente fine, nel 1993, all’intervento per il Sud, facendo rientrare le politi­che per il Mezzogiorno nell’ambito dei bilanci ordinari dei ministeri e delle altre amministrazioni pubbliche. Quando fu posta in liquidazione l’Agenzia c’erano ancora 60 mila mi­liardi di lire dei 135 mila stanziati nel 1986 dalla legge 64 sull’intervento straordinario. Nel 2000, i tecnici dell’allora ministro dei Lavori pubblici, Nerio Nesi, stimarono che Ca­smez e Agensud avevano lasciato in eredità tra contenziosi e fondi per completare i lavori in sospeso un conto di circa 7 mila miliardi di lire.

Una storia controversa, insomma. Secondo la ricostruzio­ne fatta da Gian Antonio Stella nel suo libro «Lo Spreco», tra il 1951 e il 1992, Cassa e Agenzia al Sud hanno assorbito 279.763 miliardi di lire, pari a circa 140 miliardi di euro, una media di quasi 3 miliardi e mezzo all’anno. La stessa Svi­mez, istituto meridionalista per eccellenza, già nel ”92, am­metteva che il rapporto tra costi e risultati ottenuti dall’in­tervento straordinario «si è fatto sempre più insoddisfacen­te », visto che «il prodotto per abitante del Sud è ancora del 43% inferiore a quello del Centro-Nord». Ma salvava il perio­do iniziale, fondamentale per la ricostruzione del Sud. Tra il 1950 e il 1989, concludeva il rapporto, la spesa, «in lire aven­ti potere d’acquisto dell’89, è stata mediamente di 5 mila miliardi l’anno, pari allo 0,7% del reddito nazionale: per il ripianamento del deficit delle Ferrovie dello Stato si è speso molto di più».