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 2009  luglio 27 Lunedì calendario

PROVE D’INTESA TRA USA E CINA


Gli States chiedono garanzie sull’acquisto dei titoli del loro debito e sulla forza dello yuan -

IL BIGLIETTO VERDE - Pechino detiene un’arma decisiva di pressione: due terzi delle sue enormi riserve ufficiali sono costituiti da dollari -


Durante la sua prima visita a Pechino come Segretario al Tesoro Usa, all’inizio del giugno scorso, una garbata risata degli studenti dell’università di Pechino ha accolto l’affermazione di Timothy Geithner, secondo cui l’investimento cinese in titoli pubblici Usa è sicuro. In effetti, in Cina c’è diffusa inquietudine per le finanze pubbliche Usa e la connessa svalutazione del dollaro, che coinvolgerebbe il "tesoro" detenuto. La Cina vanta infatti riserve valutarie per 2.132 miliardi di dollari, di cui oltre un terzo in titoli del debito pubblico Usa: un’esposizione enorme.
 questo il tema principale che sarà sul tappeto, oggi e domani, tra Geithner e il Segretario di Stato Hillary Clinton da un lato e alcuni tra i massimi dirigenti cinesi dall’altro, nel primo incontro al massimo livello tra Usa e Cina dopo l’arrivo alla Casa Bianca del presidente Obama.
Malgrado i loro legittimi timori, i cinesi non hanno alternative. Il gioco continua («voi Usa comprate i miei prodotti a basso prezzo favorendo la mia crescita economica e io Cina acquisto il vostro debito e freno la vostra inflazione») e si stabilizza, pur con qualche incertezza, in un rapporto simbiotico: la "Chimerica", com’è stata definita con brutto neologismo, è ormai uno degli assi portanti dell’assetto economico mondiale.
All’inizio del decennio il "matrimonio" ha funzionato bene, permettendo la convivenza delle operose "formiche" cinesi e delle prodighe "cicale" Usa, col risultato che il tasso di risparmio cinese è balzato dal 30% al 45%, mentre quello americano è crollato dal 5% a zero. Ma un matrimonio in cui tutto il peso del risparmio è addossato a un partner e tutte le spese all’altro non può chiaramente durare.
Le prime frizioni risalgono al 2007-2008. Da un lato Washington ha premuto, con risultati ritenuti inadeguati, affinchè Pechino accelerasse la rivalutazione dello yuan al fine di frenarne l’export. Dall’altro Pechino, che pure ha gradualmente rivalutato la propria moneta da 8,28 yuan per dollaro (2005) a 6,80 (fine 2008), ha arrestato il processo a causa della crisi finanziaria mondiale.
Ora si cominciano ad avvertire dei segni di scollamento. Alcuni alti dirigenti cinesi propongono d’introdurre una nuova valuta globale di riserva (i Diritti speciali di prelievo, Sdr, con la presenza dello yuan nel loro paniere) per superare le "vulnerabilità" del sistema monetario internazionale. Nel contempo, la Banca centrale cinese opera affinchè lo yuan acquisti a livello regionale il ruolo di moneta di riserva.
Oggi lo yuan non è però in grado di assumere questo ruolo per due ragioni: non è una moneta totalmente convertibile e i mercati finanziari cinesi non sono abbastanza sviluppati e aperti. All’inizio dell’anno la Borsa cinese capitalizzava 2.000 miliardi di dollari, contro 11.000 di quella Usa e 5.000 di quelle europee. Il mercato obbligazionario è ancor più debole e condizionato dalle autorità politiche. Il biglietto verde resta perciò la valuta di riserva globale costituendo, al primo trimestre 2009, il 65% delle riserve ufficiali della Banca centrale cinese, davanti a euro (26%), sterlina (4%) e yen (3%), mentre la metà degli scambi commerciali mondiali si svolge in dollari.
Ciò permette a Washington di finanziare facilmente (e a un basso tasso d’interesse) il suo deficit estero, poichè tutte le banche centrali mondiali detengono riserve ufficiali in dollari.
 però possibile che lo yuan, in prospettiva, assuma il ruolo di valuta regionale di riferimento. In Asia, in effetti, il processo è avviato. Dal mese scorso alcune imprese di cinque città cinesi possono usare yuan per regolare le transazioni con Hong Kong, Macao e i paesi Asean. Le banche straniere potranno comprare o prestare yuan per finanziare le loro operazioni commerciali. Già da giugno Russia e Cina si sono accordate per espandere l’uso delle loro monete negli scambi bilaterali. Altre analoghe iniziative sono in atto non solo con Hong Kong, Indonesia, Malaysia e Corea del Sud, ma anche con Brasile, Argentina e Belarus: la Banca centrale cinese consente di pagare in yuan le importazioni dalla Cina se questi paesi non dispongono di valuta forte. Ancora: le banche di Hong Kong possono emettere obbligazioni in yuan come primo passo per creare un mercato finanziario "off shore".
Alcuni economisti (forse troppo ottimisti) prevedono che nel 2012 il 40% del commercio estero cinese sarà regolato in yuan: è chiaro che la "lunga marcia" della moneta di Pechino verso lo status di valuta internazionale è iniziata. Ciò potrebbe significare un indebolimento del regno (finora indiscusso) del dollaro in Asia, soprattutto la fine per gli Usa della capacità di finanziare facilmente il debito estero con l’accumulo in tutto il mondo di riserve ufficiali in dollari. Washington dovrebbe quindi ridurre il suo debito estero, risparmiare molto di più e anche alzare i tassi d’interesse per invogliare gli investitori a sottoscrivere i titoli del suo debito.