Varie, 31 luglio 2009
CAMPIONATO DI CALCIO PER VOCE ARANCIO
Il 23 agosto parte il campionato di calcio, il 77° a ”girone unico”. I due più importanti giocatori delle ultime cinque stagioni se ne sono andati: lo svedese Zlatan Ibrahimovic ha lasciato l’Inter per il Barcellona, il brasiliano Kakà è passato dal Milan al Real Madrid. I rimpiazzi dei due fenomeni che hanno lasciato Milano, seppur di livello, non paiono al momento all’altezza dei predecessori.
Perso il brasiliano Kakà, venduto per 67,2 milioni di euro (64,5 al Milan, 2,7 al San Paolo per i ”diritti di formazione”), il campionato di serie A accoglie con grandi aspettative il connazionale Diego, venduto alla Juventus dai tedeschi del Werder Brema per 24,5 milioni di euro. La perdita tecnica, oltre che dalla differenza di prezzo (e si tenga conto che l’ex rossonero è tre anni più vecchio del neobianconero, classe 1982 contro 1985), è evidenziata dal fatto che Kakà nello scorso mese di giugno è stato eletto ”miglior giocatore” della Confederations Cup vinta in Sudafrica dal Brasile mentre Diego, che gioca più o meno nello stesso ruolo, non era stato neanche convocato.
La differenza tra Ibrahimovic ed Eto’o (i due sono coetanei, classe 1981) sta nelle cifre dell’affare: l’Inter s’è fatta dare come conguaglio dai catalani 45 milioni. I detrattori dell’ex attaccante di Juve e Inter sottolineano però che tanto è stato dominante nei suoi cinque anni italiani (cinque scudetti, compresi i due revocati causa ”calciopoli”, più il titolo di capocannoniere nell’ultima stagione), tanto ha deluso in Europa, dove le sue squadre hanno raggiunto al massimo i quarti di finale. Il camerunense, invece, ha vinto a Barcellona le Champions League del 2006 e 2009, segnando in entrambe le finali gol che hanno contribuito a portare nelle casse della sua vecchia società milioni di euro.
I tempi in cui la serie A era considerata ”il campionato più bello del mondo” sono ormai finiti e forse non torneranno più. Il boom partì nel 1980 con la riapertura delle frontiere che consentì dopo anni l’acquisto di calciatori stranieri (subito arrivarono campioni come il brasiliano Paulo Roberto Falcao, l’olandese Ruud Krol, l’irlandese Liam Brady) e fu spinto dal titolo mondiale conquistato nel 1982 dagli azzurri. Negli anni successivi l’arrivo in Italia delle più grandi star del pallone parve inarrestabile: per fare solo alcuni nomi, nel 1982 arrivò il francese Michel Platini, nel 1983 il brasiliano Zico, nel 1984 l’argentino Diego Armando Maradona.
All’epoca si partì dai 250 milioni di lire pagati nel 1982 dalla Juventus per strappare al Saint Etienne un Platini a fine contratto (uno dei più grandi affari della storia del calcio), per salire in breve ai 6 miliardi pagati l’anno dopo dall’Udinese per farsi vendere dal Flamengo Zico e ai tredici pagati nell’estate 1984 dal Napoli al Barcellona per Maradona, detto appunto ”el pibe (ragazzo) de oro”.
Adesso i fenomeni vanno a giocare in Spagna. Il presidente del Real Madrid Florentino Pérez è stato il grande protagonista dell’ultimo calciomercato: all’acquisto di Kakà vanno aggiunti quelli del portoghese Cristiano Ronaldo, Pallone d’Oro in carica pagato al Manchester United 92 milioni di euro (record) e del francese Karim Benzema (22 anni il prossimo 19 dicembre), preso dal Lione per 35 milioni di euro. Sembra una riedizione della sua prima gestione (2000-2006), quando con la politica dei ”galacticos” portò a Madrid il portoghese Luis Figo (58,5 milioni di euro pagati nell’estate 2000 al Barcellona), il francese Zinedine Zidane (76 milioni alla Juventus nel 2001), il brasiliano Ronaldo (43 milioni all’Inter nel 2002), l’inglese David Beckham (35,1 milioni al Manchester United nel 2003).
In Inghilterra il grande protagonista del mercato è stato il Manchester City dello sceicco Mansour, quello che a gennaio arrivò a un passo dall’acquisto di Kakà (era disposto a pagare oltre 100 milioni di euro, molto più del Real Madrid, ma fu costretto a desistere per il no del brasiliano). Per nostra fortuna, il rampollo della famiglia reale di Abu Dhabi si è limitato allo shopping tra le rivali in Premier League, acquistando l’argentino Carlitos Tévez (28 milioni di euro, giocava nel Manchester United) e il togolose Emmanuel Adebayor (29 milioni di euro, giocava con l’Arsenal). A causa della crisi economica si è invece calmato il miliardario russo Roman Abramovich, patron del Chelsea, il cui colpo più importante è stato l’ingaggio come allenatore di Carlo Ancelotti (ma non è da ecludere che entro la fine dell’estate possa ”regalare” all’ex allenatore rossonero Andrea Pirlo).
Da noi il platonico ”scudetto del mercato” è andato alla Juve che oltre a Diego ha preso dalla Fiorentina un altro nazionale brasiliano, il centrocampista Felipe Melo, pagato 25 milioni di euro più Marco Marchionni (valore stimato in 4 milioni), mentre Fabio Cannavaro è tornato in bianconero a gratis (il contratto col Real Madrid era giunto a scadenza). In Italia i bianconeri potrebbero presto trovarsi in una posizione di grande forza: la Vecchia Signora sarà infatti la prima delle nostre grandi società a dotarsi di un proprio stadio (inaugurazione prevista per il luglio 2011, in concomitanza con il 150° anniversario dell’Unità d’Italia).
Il francese Jean-Claude Blanc, amministratore delegato della Juventus, è convinto che «quello del calcio è un business dove vince chi perde più soldi. un paradosso che non può durare all’infinito». L’anno scorso, per capire, l’Inter ha vinto lo scudetto chiudendo il bilancio a -148 milioni, mentre i bianconeri, secondi, hanno finito con i conti in pareggio. Poiché sul campo gli uomini guidati da Mourinho hanno staccato di 10 punti quelli guidati da Ranieri e Ferrara, si può dire che ogni punto di differenza tra bianconeri e nerazzurri è costato circa 15 milioni.
Come mostra l’affare Ibrahimovic, Moratti non pare più disposto a spendere certe cifre. ”Persi” 3 punti di vantaggio per lo scambio Ibrahimovic-Eto’o (differenza stimata in 45 milioni) e altrettanti per l’arrivo in bianconero di Diego e Felipe Melo, ammesso che la relazione tra soldi spesi e punti in classifica sia così automatica, l’Inter dovrebbe partire un’altra volta con i favori del pronostico (senza contare che dal Genoa sono arrivati a Milano l’argentino Diego Milito e il brasiliano Thiago Motta). Il Milan, fiaccato economicamente dalla mancata partecipazione alla scorsa edizione della Champions League, ha usato i soldi incassati dalla cessione di Kakà per intraprendere il cammino verso il pareggio del bilancio e al momento è più probabile la cessione di qualche altro pezzo pregiato (Pirlo? Pato?) che un grande acquisto all’estero.
Il calcio italiano attraversa una crisi, una crisetta o siamo vicini al crac? «Francamente, la terza che ha detto» ha risposto al Corriere della Sera Beppe Marotta, amministratore delegato della Sampdoria. A dire il vero anche le società della Premier League inglese e della Liga spagnola, le nostre principali concorrenti su scala mondiale, sono gravemente indebitate, in totale 3 miliardi di euro contro i nostri 2. La differenza sta nel fatto che le società italiane devono fare i conti con giri d’affari e patrimoni più ridotti: inglesi e spagnoli possono infatti contare su un merchandising ben più sviluppato e su maggiori incassi dagli stadi che spesso, essendo di proprietà, fanno pure patrimonio.
A dieci anni dalla ”telerivoluzione”, il bilancio del calcio italiano ha dell’incredibile: dal 1999 le nostre società hanno incassato 5.909 milioni di euro (5.060 per i diritti criptati, venduti soggettivamente, più 849 milioni per i diritti in chiaro), per ritrovarsi con un debito vicino ai 2.000 milioni. L’improvvisa ricchezza ha finito col disincentivare gli sforzi per differenziare le entrate, spingendo a trascurare lo sviluppo del merchandising, l’impegno contro la contraffazione dei marchi, l’aumento delle presenze negli stadi, dove si sono persi molti spettatori. Per capire da dove venga la crisi del calcio italiano bastano due percentuali: il 65% dei ricavi proviene dai diritti televisivi, il 70% dei ricavi viene speso per il costo del lavoro (dato, quest’ultimo, comune a tutte le maggiori società europee).
Adesso, è notizia dello scorso 28 luglio, le società di serie A (nel frattempo incamminate verso il divorzio dalla B) si apprestano a incassare dalle tv altre centinaia di milioni: tornate per legge alla vendita collettiva dei diritti, nel 2010/2011 riceveranno 580 milioni da Sky (diritti via satellite) e 210 da Mediaset (digitale terrestre di 12 società); nel 2011/2012 riceveranno la stessa cifra dal gruppo di Murdoch mentre quello di Berlusconi verserà 225 milioni. Considerando che vanno ancora assegnati i diritti per gli ”higlights tv” (programmi tipo 90° minuto, Domenica sportiva, Controcampo ecc.), quelli per la radio (Tutto il calcio minuto per minuto), quelli per internet e quelli delle 8 società rimaste fuori dal digitale terrestre, si dovrebbe arrivare a un totale di 900 milioni di euro l’anno.
Ammesso che gli errori del passato abbiano insegnato qualcosa ed evitino ulteriori sprechi, il nostro mondo del calcio deve sperare che gli italiani non si stanchino come hanno fatto gli appassionati di tutto il mondo, che prima seguivano la serie A con grande passione e adesso non vogliono saperne di guardarla. «La credibilità del nostro calcio è minata e per noi è davvero demoralizzante provare a vendere il prodotto all’estero», s’è sfogato col Sole-24 Ore Riccardo Silva, fondatore di M&P Silva, una delle due società (l’altra è il tandem Rai Trade e Sport 5) che commercializza all’estero i diritti tv del nostro massimo campionato: oggi l’incasso mondiale ammonta a circa 80 milioni di euro contro i 320 della Premier League inglese.
L’appeal internazionale del calcio italiano è diminuito a causa di vari fattori: il crollo della credibilità dopo lo scandalo ”calciopoli”; i ripetuti episodi di violenza dentro e fuori dagli stadi; gli stadi troppo vecchi e troppo vuoti, inevitabilmente poco ”telegenici”; l’incertezza dei calendari, con orari suscettibili di spostamenti per le decisioni dei prefetti che li impongono in base ad eventuali problemi di sicurezza. L’unica buona notizia è che dal 2010 una partita si giocherà alle 12.45: la speranza è che questa mossa catturi nuovi spettatori in Asia, il continente in cui la Premier League inglese ha costruito negli ultimi anni la sua leadership mondiale.