Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  luglio 31 Venerdì calendario

LA GRANDE OPPORTUNITA’ DEL FALLIMENTO


La bancarotta? « americana come la torta di me­le », sdrammatizza il settimanale Time davanti ai dati che indicano una moltiplicazione dei casi di soggetti – aziende ma, sempre più spesso, an­che famiglie – che dichiarano fallimento, cer­cando, così, di proteggersi dalle richieste dei creditori. Nel­l’America coloniale chi falliva finiva dritto in prigione: la condanna, anche morale, della società, era inappellabile. Ma dopo l’indipendenza, gli Stati Uniti gettarono alle orti­che le leggi inglesi e cominciarono a garantire protezioni sempre più ampie ai debitori, in modo da spingere un po­polo già naturalmente ottimista a rischiare di più, a investi­re e a costruire anche al di là delle sue disponibilità econo­miche immediate.

Come abbiamo scoperto di recente, questa propensione al rischio che è stata per quasi due secoli il motore della crescita americana, negli ultimi vent’anni è diventata molti­plicazione incosciente del debito e ha fatto deragliare il convoglio dell’economia statunitense.

Mentre le banche si rifugiavano sotto l’ombrello del governo, è così iniziato lo stillicidio delle dichiarazioni di bancarotta. Aziende grandi (come Chrysler e General Motors), piccole ed anche fa­miglie. Nonostante la legge voluta quattro anni fa da Bush proprio per restringere le possibilità per i singoli di pro­teggersi dai creditori, nel 2009 le famiglie che si dichia­rano fallite sono aumentate del 60 per cento.

E il clima non è quello, atto­nito, di un dopo-terremoto: ra­ramente chi getta la spugna si sente davvero un fallito. Per le imprese – il caso di Chrysler rilevata da Fiat è il più significativo, non certo l’unico – la bancarotta sta diventando un modo efficace per ristruttura­re le attività e tornare sul mercato. Ma anche per le fami­glie il fallimento è sempre meno una cosa di cui ci si deve vergognare. una specie di pulsante di reset che consente di ripartire su nuove basi, il meccanismo col quale si cerca di lavare tutto: il rimorso di quelli che sanno di avere fatto il passo più lungo della gamba comprando una casa trop­po lussuosa o riempiendo il portafoglio di carte di credito e la rabbia di chi si è trovato sul lastrico pur essendo con­vinto di aver rispettato le regole del gioco. In effetti oltre la metà dei casi di bancarotta individuale riguarda gente che si è indebitata per pagare i conti di ricoveri e cure mediche costosissime che vengono rimborsate solo in parte da mol­te assicurazioni.

Caduti sensi di colpa e barriere psicologiche, l’assalto ai tribunali fallimentari è diventato inarrestabile. Può essere anche questo un modo per ricominciare. Salvo che ora le bankruptcy courts , assediate da famiglie che, per rispar­miare sull’avvocato, hanno scelto la strada delle pratiche «fai da te», affogano in un mare di carte.