Alberto Mattioli, La Stampa, 28/7/09, 31 luglio 2009
COM’ DURO WAGNER PER CHI RIESCE A VEDERLO
Essere wagneriani è come giocare a golf: la pazzia non è indispensabile, però aiuta. Ora, ogni estate dal 1876, con qualche piccola interruzione dovuta a dettagli come la Seconda guerra mondiale, il bacillo wagneriano colpisce a Bayreuth, piccola, sonnacchiosa e noiosissima cittadina della Franconia (angolo nord-orientale dell’attuale Land di Baviera, dopo Norimberga sull’autostrada - per fortuna - Monaco-Berlino). Prima dell’avvento di Wagner, l’unico evento locale degno di nota era stato il regno di una sorella asssi chic di Federico il Grande che, sfumato un prestigioso matrimonio con il Principe di Galles, venne spedita furibonda a fare la Margravia qui e si vendicò facendosi costruire dai Galli Bibiena il più bel teatrino rococò del mondo.
Nel 1876, colpo di scena: prima rappresentazione integrale dell’Anello del Nibelungo nel Festspielhaus, il teatro concepito da Wagner per la rappresentazione delle sue opere e solo di quelle e pagato dal povero Luigi II di Baviera. E Bayreuth diventa subito una meta di pellegrinaggio, una Lourdes musicale dove i devoti sopportano privazioni, noie e vessazioni inenarrabili pur di celebrarci il Culto. Con gli inevitabili fanatismi. Debussy annunciò che sarebbe venuto a piedi (poi però prese il treno), Lekeu svenne ascoltando il Preludio del Tristano e due estati fa un socio della Wagner Society inglese dalla firma indecifrabile lasciò un osso di plastica e un bouquet di fiori sulla tomba di Russ, il cane di Richard. In effetti, Wagner ascoltato qui, anche solo per le mere virtù acustiche del teatro, è speciale; specialissimo il Parsifal, l’ultima opera del maestro e l’unica ad essere stata specificatamente composta per questa sala.
Però l’odissea dello spettatore moderno comincia molto prima. Intanto è quasi impossibile trovare i biglietti. I tempi d’attesa per chi non faccia parte di qualche Associazione Wagner sono di nove o dieci anni, trascorsi a tempestare di lettere la biglietteria, che non accetta prenotazioni né per fax né tantomeno per e-mail. Poi un complicato sistema di sorteggio assegna uno dei 1.974 posti. Ovvio che si chieda ad amici e conoscenti di mandare lettere per aumentare le probabilità di successo. L’estate scorsa, dei prestanome del Cairo di due amici di Pistoia ottennero i biglietti, che quindi fecero il giro del mondo: Bayreuth-Cairo-Pistoia-Bayreuth. Altrettanto ovvio che esistano degli esosissimi bagarini cui il Festival dà una caccia spietata: ma bisogna trovarli e soprattutto pagarli. A chi scrive uno diede appuntamento in un losco boschetto secondario dove allibii per il prezzo ma lo pagai e vidi che Herr Bagarino se ne andava in Ferrari. Chi è senza posto forma delle lunghe code davanti alla biglietteria con l’idea che qualche reduce del fronte russo sia finalmente morto e abbia quindi liberato il suo posto, ma le speranze sono tenui. Idem per chi si appunta sulla giacca un biglietto con la scritta «Suche Karten», cerco biglietti, casomai qualche giapponese prenotatissimo abbia perso l’aereo.
Naturalmente per albergatori e osti il Festival è una festa. Gli hotel hanno tariffe differenziate fra alta (le cinque settimane del festival) e bassa stagione (il resto dell’anno), comunque l’offerta è scarsa e la qualità non esaltante.
Comunque, se si è trovato un biglietto e un albergo, arriva il sospirato giorno della recita. Che inizia alle 16, ma è bon ton salire la verde collina sulla cui sommità troneggia il Tempio con buon anticipo, naturalmente già bardati in smoking se maschietti e in abito da sera se femminucce, e se femminucce tedesche nei colorini più amati a Nord del Brennero, tipo il verde melanzana o l’arancione albicocca. Il Festspielhaus ha l’aspetto severo di un opificio ottocentesco, senza orpelli né velluti. In ogni caso, scomodissimo: chi non ha ascoltato un Crepuscolo degli dei o un Lohengrin seduto per quattro ore e rotti su una sedia di legno senza imbottitura né braccioli non sa quanto l’estasi possa sfociare nel tormento. I più scafati, infatti, si portano un cuscino. Ovviamente, l’intera recita si svolge nel buio più completo e nel silenzio più assoluto. All’inizio di ogni atto, in perfetta sincronia, le maschere, tutte ragazze giovani, carine e tostissime, chiudono a chiave le porte in perfetta sincronia. Il cronista ricorda che, durante un terz’atto della Valchiria, una sventurata si sentì male più o meno all’altezza dell’Incantesimo del fuoco e fu lasciata a contorcersi lì finché Wotan non ebbe finalmente terminato di dire addio a Brunilde.
Gli intervalli durano un’ora. E qui si passa di botto dalla messa cantata all’Oktoberfest. Nel senso che intorno al teatro chioschi e padiglioni vendono le indipensabili salsicce e le non meno fondamentali birrette. Quindi si vede una folla cosmopolita, colta ed elegante sciamare fra aiuole e statue (ovviamente di Wagner e del resto della famiglia) addentando Bratwürst e sporcandosi di senape: è comunque chic deambulare intorno al Festspielhaus tutti nello stesso senso di marcia. Un quarto d’ora prima del sipario, una fanfara sale sul balcone del teatro e suona una volta un motivo dell’atto che inizia; dieci minuti prima, due volte; cinque minuti prima, tre. Si finisce, stremati ma felici, intorno alle 22.
Fuori, il Nulla. Nel senso che a Bayreuth, se non si va all’opera, non c’è assolutamente niente da fare. A parte, naturalmente, visitare la casa di Wagner, portare fiori sulla tomba di Wagner, acquistare dischi di musica di Wagner, leggere libri su Wagner e discutere con altri appassionati di Wagner. Praticamente, la vacanza ideale.