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 2009  luglio 30 Giovedì calendario

QUESTIONE DI ATTIMI LA VITA IN UN TUFFO


Guardando nei gior­ni scorsi alla televi­sione e sui giornali le immagini delle no­stre belle e valorose tuffatrici, eredi dell’alta scuola dei Cagnot­to e dei Dibiasi, ho ricordato che anch’io tanto tempo fa, cir­ca settant’anni fa, appartenevo alla piccola tribù dei tuffatori e forse posso valutare meglio la bravura di Tania Cagnotto e di Francesca Dallapè e la difficoltà dei tuffi da esse eseguiti ai Mon­diali di nuoto. Allora, tanto tem­po fa, avevo il fisico giusto per un tuffatore, pancia rientrante con muscoli addominali a gu­scio di tartaruga, una certa ar­monia atletica ma non troppo sottolineata, insomma il fisico adatto. Fu importante la presen­za a Napoli di un tuffatore, Cic­cio Ferraris, che aveva partecipa­to alle Olimpiadi di Los Angeles classificandosi abbastanza be­ne. Lo avevo visto tuffarsi dalla piattaforma dei dieci metri con uno slancio e un’eleganza che mi colpirono. Mi parve un esse­re privilegiato capace di segnare nell’aria col suo corpo figure di bellezza insuperabile. Volevo a tutti i costi rassomigliargli, dise­gnare anch’io per pochi secondi una figura di bellezza. E volevo anche superare la paura che l’al­tezza della piattaforma mi ispira­va.

Visto dalla piattaforma anche il rettangolo della piscina sem­brava più piccolo. Sapevo anche che tuffarsi da quell’altezza com­portava un impatto con l’acqua che diventava «dura», e se il cor­po non entrava in acqua in mo­do perfettamente perpendicola­re potevano esserci conseguen­ze spiacevoli per il tuffatore. Fu dunque anche per dimostrare a me stesso che ero coraggioso che feci il mio primo tuffo dai 10 metri. Fu una sensazione fino a quel momento mai provata, un vero «volo d’angelo», con nella pancia un formicolio di piacere e di pericolo superato. Dopo quel tuffo vennero altri tuffi più o meno difficili, ma i due tuffi facili che più avrei desiderato fa­re non fui mai capace di trovare l’istinto giusto per farli. Uno di questi due tuffi era il «volo d’an­gelo » rovesciato, volgarmente detto «calcio alla luna», l’altro era un salto mortale e mezzo con l’avvitamento, una specie di guizzo nell’aria quasi impossibi­le da scomporre con lo sguardo. I tuffi da 10 metri rispetto a quel­li dal trampolino duravano di più nell’aria e potevi seguirli me­glio durante l’esecuzione, ti da­vano il tempo di ammirarne lo svolgimento. Quelli dal trampo­lino di tre metri si svolgevano in un lampo, ma il momento più bello era quello in cui potevi mi­surare lo slancio in altezza che il tuffatore riusciva a raggiungere sfruttando l’elasticità del tram­polino. Più alto si eseguiva il tuf­fo più riuscito era. Ma l’altezza comportava un pericolo, perché più alto era lo slancio più forte era l’attrazione della tavola e il pericolo di sbatterci contro.

Oggi i tuffi hanno raggiunto un grado di complicazione e di difficoltà che ai miei tempi nes­sun tuffatore poteva immagina­re. E inoltre oggi, rispetto a ieri, la novità sono i tuffi sincronizza­ti che ai miei tempi non si face­vano e che aggiungono un note­vole grado di bellezza e difficol­tà ai tuffi che ero abituato ad am­mirare allora. Posso solo imma­ginare quante ore di allenamen­to questo tipo di tuffo sincroniz­zato richiede e quanta abnega­zione. E anche se sono pieno di stupore mentre guardo chi li esegue, non posso fare a meno di notare che questa «novità», il «tuffo sincronizzato», dà un toc­co circense, un di più di virtuosi­tà e di tempismo da trapezista, a quel che per me era la purezza del tuffo classico, del tuffo dei miei tempi, quello che si esegui­va quando la piccola tribù dei tuffatori era davvero quasi del tutto ignorata e non aveva anco­ra raggiunto nelle gare l’impor­tanza che ha oggi.

Quando parlo della purezza del tuffo classico intendo un tuf­fo semplice fatto in assoluta «souplesse», senza lo sforzo at­letico da ginnasta e l’estrema concentrazione richiesta dai tuf­fi che oggi vedo eseguire con tanta bravura ai Mondiali, so­prattutto quelli bellissimi sin­cronizzati. Ma ancora più bello era per me il tuffo simile al volo ad ali ferme del gabbiano, un tuffo non troppo difficile ma che però puoi avere il tempo di seguire al «ralenti» con lo sguar­do. Come appunto uno di quei due tuffi che ho tanto desidera­to e non ho mai saputo esegui­re. Un tuffo più sognato che ese­guibile.