Raffaela La Capria, Corriere della sera 30/7/2009, 30 luglio 2009
QUESTIONE DI ATTIMI LA VITA IN UN TUFFO
Guardando nei giorni scorsi alla televisione e sui giornali le immagini delle nostre belle e valorose tuffatrici, eredi dell’alta scuola dei Cagnotto e dei Dibiasi, ho ricordato che anch’io tanto tempo fa, circa settant’anni fa, appartenevo alla piccola tribù dei tuffatori e forse posso valutare meglio la bravura di Tania Cagnotto e di Francesca Dallapè e la difficoltà dei tuffi da esse eseguiti ai Mondiali di nuoto. Allora, tanto tempo fa, avevo il fisico giusto per un tuffatore, pancia rientrante con muscoli addominali a guscio di tartaruga, una certa armonia atletica ma non troppo sottolineata, insomma il fisico adatto. Fu importante la presenza a Napoli di un tuffatore, Ciccio Ferraris, che aveva partecipato alle Olimpiadi di Los Angeles classificandosi abbastanza bene. Lo avevo visto tuffarsi dalla piattaforma dei dieci metri con uno slancio e un’eleganza che mi colpirono. Mi parve un essere privilegiato capace di segnare nell’aria col suo corpo figure di bellezza insuperabile. Volevo a tutti i costi rassomigliargli, disegnare anch’io per pochi secondi una figura di bellezza. E volevo anche superare la paura che l’altezza della piattaforma mi ispirava.
Visto dalla piattaforma anche il rettangolo della piscina sembrava più piccolo. Sapevo anche che tuffarsi da quell’altezza comportava un impatto con l’acqua che diventava «dura», e se il corpo non entrava in acqua in modo perfettamente perpendicolare potevano esserci conseguenze spiacevoli per il tuffatore. Fu dunque anche per dimostrare a me stesso che ero coraggioso che feci il mio primo tuffo dai 10 metri. Fu una sensazione fino a quel momento mai provata, un vero «volo d’angelo», con nella pancia un formicolio di piacere e di pericolo superato. Dopo quel tuffo vennero altri tuffi più o meno difficili, ma i due tuffi facili che più avrei desiderato fare non fui mai capace di trovare l’istinto giusto per farli. Uno di questi due tuffi era il «volo d’angelo » rovesciato, volgarmente detto «calcio alla luna», l’altro era un salto mortale e mezzo con l’avvitamento, una specie di guizzo nell’aria quasi impossibile da scomporre con lo sguardo. I tuffi da 10 metri rispetto a quelli dal trampolino duravano di più nell’aria e potevi seguirli meglio durante l’esecuzione, ti davano il tempo di ammirarne lo svolgimento. Quelli dal trampolino di tre metri si svolgevano in un lampo, ma il momento più bello era quello in cui potevi misurare lo slancio in altezza che il tuffatore riusciva a raggiungere sfruttando l’elasticità del trampolino. Più alto si eseguiva il tuffo più riuscito era. Ma l’altezza comportava un pericolo, perché più alto era lo slancio più forte era l’attrazione della tavola e il pericolo di sbatterci contro.
Oggi i tuffi hanno raggiunto un grado di complicazione e di difficoltà che ai miei tempi nessun tuffatore poteva immaginare. E inoltre oggi, rispetto a ieri, la novità sono i tuffi sincronizzati che ai miei tempi non si facevano e che aggiungono un notevole grado di bellezza e difficoltà ai tuffi che ero abituato ad ammirare allora. Posso solo immaginare quante ore di allenamento questo tipo di tuffo sincronizzato richiede e quanta abnegazione. E anche se sono pieno di stupore mentre guardo chi li esegue, non posso fare a meno di notare che questa «novità», il «tuffo sincronizzato», dà un tocco circense, un di più di virtuosità e di tempismo da trapezista, a quel che per me era la purezza del tuffo classico, del tuffo dei miei tempi, quello che si eseguiva quando la piccola tribù dei tuffatori era davvero quasi del tutto ignorata e non aveva ancora raggiunto nelle gare l’importanza che ha oggi.
Quando parlo della purezza del tuffo classico intendo un tuffo semplice fatto in assoluta «souplesse», senza lo sforzo atletico da ginnasta e l’estrema concentrazione richiesta dai tuffi che oggi vedo eseguire con tanta bravura ai Mondiali, soprattutto quelli bellissimi sincronizzati. Ma ancora più bello era per me il tuffo simile al volo ad ali ferme del gabbiano, un tuffo non troppo difficile ma che però puoi avere il tempo di seguire al «ralenti» con lo sguardo. Come appunto uno di quei due tuffi che ho tanto desiderato e non ho mai saputo eseguire. Un tuffo più sognato che eseguibile.