M. S. Na., Corriere della sera 30/7/2009, 30 luglio 2009
LA MOLDOVA TOGLIE LO SCETTRO AI COMUNISTI
Ridimensionato il partito di governo. Avanzano le formazioni europeiste
Falsa partenza, si ricomincia. A neanche quattro mesi dalle elezioni politiche del 5 aprile e dalle rivolte che hanno sconvolto Chisinau, la Moldova è tornata ieri alle urne per rinnovare il Parlamento. Gli exit poll assegnavano ai quattro principali partiti dell’opposizione liberal- democratica oltre il 50 per cento dei voti, contro il 40,5 dei comunisti al potere da otto anni. I primi risultati parziali nella notte davano il 47 per cento al partito di governo, comunque pesantemente indebolito. Una netta virata a Ovest, la Moldova si aggancia al treno Europa.
Il 7 aprile l’opposizione era scesa in piazza chiedendo l’annullamento dei risultati che confermavano partito di governo i comunisti accusati di tenere il Paese ostaggio delle ossessioni del presidente uscente Vladimir Voronin, non rieleggibile dopo due mandati consecutivi ma deciso a restare in partita almeno come presidente del Parlamento. Sessantotto anni, fedele al verbo marxista-leninista e nostalgico dell’Urss, Voronin aveva cercato un difficile equilibrio tra la dipendenza dal grande fratello russo e le ambizioni di avvicinamento all’Ue, suggellate dall’inclusione della Moldova nel programma di cooperazione del Partenariato per l’Est lanciato lo scorso maggio e considerato dal Cremlino un atto d’ingerenza nel suo «estero vicino». La piccola Moldova si è ritrovata prima linea del confronto tra Mosca e Bruxelles per conquistare la fiducia dei Paesi un tempo parte della «sfera d’influenza » sovietica. Poi le elezioni, le centinaia di arresti e i tre morti negli scontri con la polizia, le immagini del palazzo del Parlamento in fiamme sulle prime pagine di tutto il mondo, avevano convinto Voronin a tornare a cercare la protezione di Mosca. La Russia mantiene un contingente nella regione separatista della Transdnistria, fornisce il 90 per cento dell’energia al Paese più povero d’Europa e aveva promesso al nuovo governo, purché comunista, prestiti per 500 milioni di euro. «Nei giorni difficili – ha detto ieri Voronin – Mosca si è dimostrata il nostro amico più sincero».
Giovani e classe media si sono schierati con l’opposizione che prometteva un cambiamento radicale a favore dell’economia di mercato, di un’informazione libera e pluralista e di legami più stretti con l’Europa e la confinante Romania. Voronin aveva accusato il governo romeno di aver manovrato la rivolta di aprile, ribattezzata «Rivoluzione Twitter» per il ruolo, in realtà sovrastimato, dei nuovi social network nell’organizzazione dei raduni. «I giovani – dice al Corriere Vladimir Tismaneanu, analista romeno e direttore del Centro per gli Studi delle Società post-comuniste dell’Università del Maryland – rifiutano di continuare a vivere in un sistema che mescola cinismo, mentalità mafiosa e leninismo d’accatto. Questi ventenni hanno conosciuto libertà che i loro genitori ignoravano e non si rassegnano, sono decisi a impedire che la Moldova diventi una seconda Bielorussia, un regime autocratico e isolato».
Se i risultati ufficiali confermeranno gli exit poll, Liberali, Liberal-democratici, Democratici e Nostra Moldova potranno formare una coalizione senza i comunisti e disinnescare l’impasse che ha bloccato l’elezione del nuovo presidente e costretto Voronin a sciogliere le Camere; un negoziato con i comunisti sarà comunque necessario per eleggere il capo di Stato. Un attore chiave per la definizione dei nuovi equilibri potrebbe rivelarsi il leader dei Democratici ed ex comunista Marian Lupu. Il leader dell’opposizione Filat ha detto: «La Moldova torna libera e democratica».