Marco Magrini, ཿNova24 30/9/2009;, 30 settembre 2009
BIOCARBURANTI DALLA PUGLIA
Oggi i biocarburanti si fanno usando il cibo, come il mais o la canna da zucchero: per qualcuno è uno scandalo, per qualcun altro è un’opportunità. Ma se domani potessimo usare gli scarti dell’agricoltura, chi avrebbe da protestare?
Quel domani, è alle porte. «Nel primo semestre dell’anno prossimo – assicura Steen Riisgaard, amministratore delegato della Novozymes – lanceremo sul mercato un nuovo prodotto capace di trasformare qualsiasi cellulosa. Nel giro di pochi anni, lo scenario sarà completamente diverso».
La Novozymes ne sa qualcosa. L’azienda danese è leader mondiale (con il 47% del mercato) nella produzione di enzimi, le biomolecole che accelerano tutte le reazioni chimiche del mondo. Con una serie di sofisticate tecnologie, che includono l’ingegnerizzazione delle proteine e la manipolazione genetica, la Novozymes produce microrganismi modificati che, a loro volta, generano enzimi capaci di fare i lavori più diversi. «Gli ingredienti di questo nuovo prodotto – spiega Riisgaard – sono cinque enzimi di specie diverse, opportunamente combinati ». Sarà una piccola, grande rivoluzione.
«Nell’ultimo secolo – aggiunge il Ceo di Novozymes, che l’anno scorso ha superato il miliardo di euro di fatturato – le raffinerie sono state costruite vicino ai porti, per servire una gigantesca infrastruttura per il trasporto e la distribuzione dei combustibili. Da domani, le bioraffinerie potranno essere costruite nelle aree rurali e servire il mondo in maniera più sostenibile ». Attualmente, ci sono quasi 200 bioraffinerie sul pianeta, dislocate soprattutto in Brasile e negli Stati Uniti (che insieme producono l’89% dell’etanolo mondiale). Ma il guaio è che tanto l’input che l’output – la materia prima usata e il prodotto finale ”non sono flessibili. «Con il progresso della tecnologia e con una nuova categoria di enzimi, come quella che ci prepariamo a commercializzare nel 2010 – osserva Riisgaard – queste limitazioni cadranno».
Secondo alcune stime, entro il 2020 gli scarti dell’agricoltura mondiale potranno generare abbastanza biocarburanti da sostituire il 25% dei consumi mondiali di benzina ( che allora saranno sensibilmente superiori agli attuali). Non ci sarà bisogno di usare il cibo, rischiando – com’è accaduto l’anno scorso – che i prezzi dei generi alimentari vadano alle stelle perché troppo mais ha preso la via dell’etanolo. «Se posso essere sincero – rimarca Riisgaard – il mio parere è che, usando grano geneticamente modi-ficato, si possano moltiplicare i raccolti: i soli Stati Uniti potrebbero raddoppiare la produzione e, in teoria, sfamare il mondo intero. Già la prossima generazione avrà una resa superiore del 10%, rispetto ai raccolti- record degli ultimi anni». Come dire: con la biotecnologia, il problema alimentare potrebbe comunque essere scavalcato.
Riisgaard è un paladino di quella che lui stesso chiama «bioinnovazione ». « l’elemento-chiave per risolvere le sfide economiche e ambientali che ci attendono, a cominciare dalla scarsità delle risorse naturali. Sappiamo già che, entro pochi anni, raggiungeremo il massimo della produzione petrolifera, dopodiché questa scenderà inesorabilmente. L’impatto della rivoluzione biotech sarà evidente nel 2020, ma clamoroso a metà secolo».
La Novozymes ricava oltre il 90% del proprio fatturato dal business degli enzimi, che servono a fabbricare i biofuel ma anche (e soprattutto) detergenti, bevande alcoliche, prodotti da forno e mangimi. Tuttavia, col vasto portafoglio di tecnologie e di brevetti a disposizione, l’azienda è attiva anche nella farmaceutica, nei polimeri e nella produzione di microrganismi per applicazioni industriali, come ad esempio il trattamento delle acque. Inutile dire che sono tutti business " bio", ispirati a replicare i meccanismi della natura.
In questa prospettiva, l’azienda ha solo da guadagnare, in un mondo che si muove verso il paradigma della sostenibilità, con l’impellente necessità di abbassare le emissioni di anidride carbonica. «Grazie a una serie di complessi calcoli, peraltro verificati da esperti esterni – racconta l’amministratore delegato – abbiamo rilevatoche, solo l’anno scorso, i nostri clienti hanno risparmiato all’atmosfera emissioni per 28 milioni di tonnellate di CO 2». Un esempio è l’ingente risparmio di energia (e quindi di emissioni) che è avvenuto negli ultimi dieci anni con i nuovi enzimi nei saponi, che hanno consentito di abbassare la temperatura delle lavatrici da 60 a 40 gradi. «Adesso siamo pronti con enzimi che permettono di scendere ulteriormente a 30 gradi. Soltanto con questa innovazione, si potranno risparmiare 45 milioni di tonnellate di CO2 all’anno».
La Novozymes conosce la struttura funzionale degli enzimi, che sono composti da centinaia di aminoacidi. Grazie ai supercomputer, è in grado di immaginare come cambiare un solo aminoacido per fare in modo che l’enzima funzioni meglio in determinate applicazioni. Dopodiché, gli scienziati dell’azienda danese sono in grado di modificare i microrganismi che fanno da "fabbrica", in modo da esprimere diversamente il codice genetico di un nuovo enzima. «Tutto questo – dice Riisgaard quasi a mettere le mani avanti ”avviene in ambienti strettamente controllati, dove i microrganismi, una volta fatto il loro lavoro, vengono distrutti» senza pericoli di qualsiasi natura.
Gli enzimi per produrre biofuel dalla paglia, dalle pannocchie, dalle foglie e da qualsiasi scarto agricolo – quello che la Novozymes metterà in commercio l’anno prossimo – vengono da un mix di queste tecnologie. Non esistevano in natura, ma svolgono, cento volte meglio, il lavoro della natura. Tu chiamala, se vuoi, bioinnovazione.