Gianni Bonina, il Riformista 30/7/2009, 30 luglio 2009
NON SI FA PERCHE’ MANCA UNA LOBBY
Se si continua a parlare di Ponte sullo Stretto è perché il patrimonio mitologico e letterario non gode della protezione di quello architettonico e archeologico. Non fa museo e non è soggetto perciò a vincoli. Nessuno penserebbe mai di scavare sotto Segesta, ma tutti non fanno che progettare come mutare la morfologia dello Stretto, sebbene vi si affollino a non finire miti, personaggi storici ed epici, sagre e leggende: Scilla e Cariddi, Ulisse, Enea, i Mirmidoni, Encelado, Tifone, Cecilio Metello, Colapesce, Roberto il Guiscardo, Ruggero II, San Francesco da Paola, Morgana e re Artù, Carlo Magno, Silvestro di Vittorini, ”Ndrja Cambria dello scill’e cariddi, figure di Verga e Sciascia, per finire all’epopea dei «luntri» nella caccia al pescespada e ai quadri di Guttuso e Migneco.
La logica secondo cui un ponte non sfratterebbe queste presenze è la stessa che ha consentito al cemento di Agrigento di espandersi fino a ridosso dei templi: in realtà un palazzo davanti al tempio di Giunione non ne minerebbe né la staticità né la bellezza. Solo la suggestione. Si tratta di una logica che porta adesso Giuseppe Cruciani (fervente sostenitore del ponte e autore di un pamphlet pubblicato da Rizzoli con un titolo che è un proclama: "Questo ponte s’ha da fare") a parlare di materiali di risulta e di terrorismo verde: «Superstizioni, allarmismi, fesserie di ogni genere e grado che hanno trovato ampio spazio sui media mischiandosi alle analisi più serie».
Benché sia lo stesso Cruciani a notare come la mobilità tra le due sponde sia in progressivo calo, tale da rendere l’affare antieconomico per gli stessi privati, analisi seria è per Cruciani quella fondata sul principio secondo cui non è il traffico a fare una strada ma è una strada a fare il traffico. Senonché una strada sullo Stretto collegherebbe, come ricordava già Cofferati, due deserti perché l’alta velocità, stradale e ferroviaria, resterà sempre una chimera: se un treno impiega cinque ore da Palermo a Messina, che vale che attraversi lo Stretto in dieci minuti anziché in 45? Se l’autostrada Palermo-Messina è ancora da completare e la Palermo-Catania è ridotta a uno stato di abbandono; e se la Salerno-Reggio Calabria, nonostante i lavori di ampliamento in corso, resterà comunque una strada impervia e montuosa, non dunque di rapida comunicazione, che vale compiere la traversata in cinque minuti anziché in trenta?
Semmai fosse tuttavia vero che è una strada a fare il traffico, il ponte significherebbe più gommato, che vuol dire più automobili in circolazione, più incidenti stradali e quindi più morti: in un’isola che ha voltato le spalle ai suoi porti e ai suoi mari e che, fatto il ponte, penalizzerebbe i collegamenti aerei e navali. Di più: fatto il ponte, nessuna richiesta di nuove risorse sarebbe più possibile avanzare senza rossore allo Stato e all’Ue quando oggi, per i suoi mille deficit, la Sicilia ha invece enorme bisogno di fondi.
Cruciani glissa tutti questi motivi di opposizione e guarda agli aspetti positivi: riduzione del tempo di traversata, aumento dei livelli occupazionali, maggiore mobilità tra le due coste (ciò che ha fatto dire a Vendola che il ponte unirebbe non due coste ma due cosche: il che è nelle più facili prospettive), ricadute economiche, progresso sociale della Sicilia. Nella febbre di vedere manna per tutti, Cruciani ipotizza vantaggi anche per i gestori dei ferryboat: per vedere il ponte da vicino, molti viaggiatori si imbarcheranno sui traghetti con un entusiasmo che, nei dieci anni necessari alla costruzione, accrescerà i profitti degli armatori al punto da ripagarli per i futuri cinquanta. Sembrano discorsi già sentiti alla vigilia dell’euro, annunciato come il rimedio più efficace per salvare le tasche. Poi si è visto come è andata.
Cruciani imputa i ritardi a due cause endemiche: la mancanza di una lobby di pressione e il modello di democrazia partitocratica. La prima invece c’è eccome ed è formidabile, fronteggiata da una tenace lobby di resistenza; il secondo per fortuna resiste. Cruciani sembra rimpiangere il tempo in cui era possibile erigere in tempi brevissimi maestose e costosissime cattedrali grazie alla circostanza alquanto detestabile che principe e Chiesa non dovessero sostenere opposizioni per decidere. E accusa il «benaltrismo», per il quale c’è sempre un’urgenza prioritaria rispetto al ponte. In realtà, quando occorre farsi bene i conti, l’ultima esigenza invalsa di mettere in sesto gli edifici pubblici contro i terremoti in Abruzzo non viene molto prima della comodità di risparmiare venti minuti in macchina?