Gianni Bonina, il Riformista 30/7/2009, 30 luglio 2009
«AVANTI COL PONTE NEANCHE L’AQUILA DEVE FERMARCI»
Giuseppe Cruciani, sin dal titolo del suo libro, "Questo ponte s’ha da fare", lei mostra di non avere dubbi. Eppure fior di personalità si sono dette quantomeno incerte circa l’opportunità del Ponte.
Sono convinto che un altro Paese quel ponte l’avrebbe già costruito da un pezzo. inconcepibile che un’opera concepita un centinaio di anni fa ancora divida il Paese; che ancora si discuta sull’opportunità o meno di farla; che ci si divida sui terremoti e i venti. Tutto è già stato detto e scritto. Lo Stato, cioè noi, ha deciso. C’è un contratto e un appalto. Si vada avanti. E come ci sono fior di personalità contrarie ce ne sono parecchie anche di favorevoli.
La sua teoria generale è che a congelare il ponte sia «il modello di democrazia partitocratica» imperante. Come dire, la colpa è della politica, quindi dello Stato.
Il discorso riguarda la storia del ponte, più che il presente. Le difficoltà attuali nascono dalla decisione del governo Prodi di interrompere un percorso che era arrivato alla sua conclusione. Cosa tipica della "Seconda Repubblica": distruggere quello che un governo precedente ha fatto. Per il passato non c’è dubbio che le guerre tra i partiti e all’interno degli stessi partiti abbiano, dal 1970 in avanti, nuociuto al progetto-ponte. Come dimenticare la disputa tra Iri-Eni, cioè due società statali, sul ponte o sul tunnel subacqueo, che ha bloccato tutto per dieci anni? Oppure la creazione della mostruosa società statale Stretto di Messina con azionariato talmente diviso tra regioni, Ferrovie e Iri da rappresentare un freno formidabile alle decisioni?
Non le sembra che se finora il ponte non è nato, pur dopo tantissimi tentativi, c’è qualcosa che fa da deterrente e che comprende ragioni non solo politiche, ma anche tecniche, economiche, sociali e storiche?
Da più di trent’anni l’Italia è un paese allergico alle grandi opere. Eravamo partiti alla grande con le autostrade e le ferrovie, adesso siamo indietro. Si è imposta una cultura che vede nelle grandi opere stradali qualcosa di mostruoso che danneggia il territorio. I percorsi burocratici sono diventati una via crucis, i ricorsi degli ambientalisti e delle comunità locali non si contano. A ciò si deve aggiungere che per il Sud è stato scelto un sistema di sviluppo incentrato sull’assistenzialismo e l’arrivo di denaro a pioggia e non su un valido sistema di infrastrutture.
Una sua tesi a favore del ponte è che, essendo stato speso finora un mare di soldi, «è anche per quei soldi e per il tempo buttato via che il ponte s’ha da fare». Mi sembra una tesi che può valere per il suo contrario: essendo stati spesi tanti soldi inutilmente, non ne spendiamo più altri.
Io sostengo il contrario. Abbiamo speso dei soldi. Non so se siano tanti. Dipende con che occhi si osserva la questione. 160 milioni di euro sono una cifra che molti considerano "minima" per un progetto del genere. Nel frattempo abbiamo certamente accumulato un’enorme conoscenza tecnica. la stessa cifra che con un tratto di penna Berlusconi ha dato a Catania per rimediare ai buchi di bilancio di Scapagnini. In un giorno.Comunque, pochi o tanti che siano, finirebbero nel cestino se il progetto si bloccasse. Per non parlare dei contenziosi legali che si aprirebbero.
Lei imputa al «benaltrismo» la causa prima del fermo: c’è sempre una priorità cui fare fronte prima di pensare al ponte. Ora lei pensa che questo atteggiamento sia nefasto mentre è più che fondato. Prenda il terremoto in Abruzzo e l’esigenza di mettere in sesto milioni di case in tutta Italia. Secondo lei, viene prima l’incolumità di tutti gli italiani o la comodità di una piccola parte di automobilisti e camionisti?
Il collegamento tra il terremoto in Abruzzo e il ponte di Messina è puro sciacallaggio: cosa c’entra? Allora qualsiasi disgrazia, un’alluvione, una frana, dovrebbe portare sempre alle stesse conclusioni. I soldi stanziati per il ponte erano previsti sin dal 2001 e adesso servono per ripartire. E poi contesto che si debba scegliere tra fare il ponte e l’incolumità degli italiani. Il benaltrismo è proprio questo: non affrontare il problema che si ha davanti, ma dire che la questione è un’altra. Infine: il ponte di Messina non è una "comodità" per un nucleo ristretto di persone. Mi pare un modo riduttivo per fotografare un’opera come questa. Vede, il partito comunista (ma non solo) chiamò l’Autostrada del sole "l’autostrada dei soli", perché sosteneva che non ci sarebbe passato nessuno. Si è visto com’è andata.
Una delle ragioni del no sta nell’affermazione, tutt’altro che peregrina, che il ponte unirebbe due deserti (oltre che due cosche e non due coste). Un’infrastruttura di tale portata può portare ricchezza dove c’è già o secondo lei può essere essa stessa fonte di ricchezza? Il solo vantaggio che apporta è di risparmiare venti minuti. Non è poi molto.
Da anni ci si interroga su quali vantaggi possa portare il ponte e lei dice con sicurezza che si risparmierebbero venti minuti e basta? Non è la sede per snocciolare dati e cifre sulle previsioni di traffico, che qualcuno considera esagerate. C’è un dibattito in corso. Ma il ponte va fatto per altre ragioni, quelle per esempio esposte da Francesco Merlo in alcuni articoli su Repubblica. I ponti sono ovunque il progresso, i ponti avvicinano, uniscono, creano movimento, ricchezza, civilizzano dove c’è bisogno. Non c’è nulla più di sinistra di un ponte.
Il ponte significherà innanzitutto più gommato, quindi più traffico stradale in due regioni dove anche le autostrade sono al minimo di efficienza, più inquinamento, più incidenti e più morti. Un’isola come la Sicilia non dovrebbe sfruttare al meglio il mare e quindi i suoi porti potenziando i collegamenti marittimi anche nello Stretto con mezzi celeri dedicati al trasporto di merci?
Che qualcuno sostenga che il ponte porti più inquinamento, incidenti e morti è davvero curioso. I traghetti sono uno dei mezzi più nocivi per l’ambiente e nessuno si scalda più di tanto. Non abbiamo mai visto una marcia ambientalista contro l’inquinamento dei battelli.
Si sostiene a ragion veduta che se si possono sacrificare beni culturali di cui lo Stretto è un museo naturale è perché non è riconosciuta al patrimonio mitologico e letterario la stessa protezione riservata ai reperti storici, archeologici e architettonici. Nessuno si sognerebbe di costruire per esempio sotto o sopra la valle dei Templi.
Ogni costruzione che intacca il territorio è una piccola violenza. Ma siccome il progresso serve, bisogna cercare di ridurre al massimo queste violenze. Nei progetti si spendono oggi un sacco di soldi per ridurre l’impatto ambientale e così è previsto anche per il ponte. In ogni caso: perché uno spettacolo naturale non può essere bello anche con un ponte? E perché i laghetti di Ganzirri o l’effetto Fata Morgana valgono più della Valsusa o delle acque dell’Appennino. Sono sempre scelte dolorose. Ma a un certo punto uno Stato responsabile sceglie. E basta.
Lei non minimizza il rischio che la costruzione del ponte possa diventare un ghiotto business della mafia. Però alla fine dice che basterà tenere gli occhi aperti. Si rende senz’altro conto che, se parliamo di mafia e dovendo essere l’apparato pubblico a tenere gli occhi aperti, facciamo riferimento a quella sfera proprio con la quale la mafia intesse i migliori affari.
Il rischio c’è, come sostengono tutti gli esperti. Ma questo non può essere un freno. Peraltro ci sono magistrati come Alberto Cisterna che pensano al ponte come un’opera più impermeabile di altre per la sua "grandezza" e per la grande attenzione che ci sarà sugli appalti. Lo Stato deve approntare un grande cordone sanitario intorno a quest’opera e dire che sarà una mangiatoia per la criminalità, come ha fatto qualche autorevole politico, mi sembra una resa e una cosa banale allo stesso tempo. Ha ragione Andrea Camilleri: « come dire che non si devono aprire i negozi perché c’è il pizzo». Lo dice Camilleri, non un fanatico berlusconiano.