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 2009  luglio 30 Giovedì calendario

LA BR-319 "FRATTURA" IL PESCE


Rio de Janeiro. Riaprire una vecchia strada lunga centinaia di chilometri. Collegare due grandi città altrimenti isolate. Inaugurare un’opera pubblica in una regione storicamente avara di lavoro. In un altro Paese sarebbe una bella notizia, in Brasile sorge un problema. Quasi insanabile. Talmente ostico da generare una frattura nel governo. la storia bizzarra, a tratti paradossale, della BR-319.
Un tempo asfaltata, la strada che collega Manaus a Porto Velho, circa ottocento chilometri immersi nella foresta, oggi è una pista mangiata dalla terra rossa e per lunghi tratti semi-abbandonata. Il presidente della Repubblica Luis Inacio Lula da Silva ha voluto che la ricostruzione della BR-319, insieme a una serie di altre opere infrastrutturali, entrasse nel Pac, il programma di accelerazione economica lanciato con il suo secondo mandato. In realtà, il recupero della strada è nell’agenda dei politici brasiliani da più di dieci anni, ma il progetto non è mai partito.
Che la strada sia abbandonata da anni, infatti, non è un caso. Storicamente, la rete stradale amazzonica ha rappresentato la porta d’ingresso della deforestazione. Dove sorge una strada arrivano automaticamente camion carichi di motoseghe e ripartono carichi di tronchi. I madereiros aprono piste clandestine a spina di pesce nel fitto della vegetazione. Visto dal satellite, questo tratto di foresta amazzonica occidentale tagliato dalla strada mostra i segni di una conservazione altrove ormai inimmaginabile. La BR 319 è uno dei tratti dell’antica Transamazzonica più consumati dal tempo e dunque meno frequentati. E ciò, secondo gli ambientalisti, ha evitato la devastazione. Quando fu inaugurata, nel 1972, sotto il governo di Emilio Garastazu Medici, la Transamazzonica veniva considerata dai generali della dittatura come uno dei cardini dello sviluppo economico della regione nord. Si chiamava «piano d’integrazione nazionale». Un’opera faraonica che grazie a una rete di oltre 5000 chilometri di strade, collegando la costa atlantica al confine con Bolivia e Perù, il porto fluviale di Santarem a centri sperduti nella foresta come Humaità e città in rapida espansione come Cuiabà, avrebbe spezzato l’isolamento di quella vasta regione brasiliana.
In quegli anni i militari spingevano per l’apertura delle frontiera amazzonica. Centinaia di coloni partirono dal sud, del centro e dal centro-ovest del Paese. Molti imprenditori della soia, del riso, della carne che incontri oggi in Mato Grosso, Parà, Acre, Rondonia, sono figli di quei coloni. Alcuni di questi ex-pionieri si sono arricchiti in maniera spettacolare, come Blairo Maggi, il "re della soia", il quale è anche governatore del Mato Grosso e il cui padre fondò dal nulla un gruppo che oggi domina il mercato mondiale della soia. Fino al 1988 esisteva una linea di pullman che percorreva gli oltre ottocento chilometri della BR-319. Poi il servizio è stato sospeso e oggi la strada viene percorsa solo nei tratti più vicini alle due città. Da un lato c’è Manaus, capitale dello Stato di Amazonas, un tempo centro mondiale della gomma caduta in declino all’inizio del Novecento (e risorta come zona franca industriale nelle ultime decadi), dall’altra sorge la città di Porto Velho, capitale della Rondonia, sulla frontiera con la Bolivia. Due città oggi nuovamente separate dalla foresta.
Il progetto di riattivare il collegamento è stato rilanciato fin dal 2005 dal governo, riesumando gli spettri dell’antico far-west. Ordinanze giudiziarie e sospensioni hanno però bloccato i lavori. Lo scorso giugno il ministro dei trasporti Alfredo Nascimento ha annunciato che la pavimentazione di un tratto di 406 chilometri entrava nel programma di accelerazione economica, sebbene l’Ibama (Istituto per l’Ambiente e le Risorse Naturali Rinnovabili), deputato a decidere sull’impatto ambientale, non avesse ancora dato il via libera. Qualche giorno dopo, l’8 di giugno, l’Ibama ha bocciato sonoramente lo studio presentato dal Dipartimento nazionale di infrastruttura dei trasporti (Dnit) «perché non soddisfa i requisiti minimi per l’esecuzione dell’opera». Un rapporto pubblicato lo stesso giorno dalla Ong "Conservação Estrategica" (Cfs Brasil) afferma che i «costi ambientali» di gestione della strada, calcolati in 2 miliardi di Reais nei prossimi venticinque anni, «sorpasserebbero di gran lunga i benefici portati dalla sua riapertura».
Nel governo si spalanca una voragine. Il ministro dell’ambiente Carlos Minc, dichiaratamente contrario all’autostrada, definisce la questione «una guerra» e afferma che «il cantiere andrà in moto soltanto dopo aver soddisfatto tutti i criteri richiesti dall’Ibama». Specialisti dell’istituto, durante le ispezioni di quei giorni, affermano di aver visto un’intensa attività di estrazione illegale di legna lungo i tratti percorribili.
«Una discussione schizofrenica» la definisce il governatore dello Stato di Amazonas, Eduardo Braga, secondo il quale l’analisi dell’Ibama è basata su una «botanica della zona intorno alla BR-319 che non esiste più. In questo modo - afferma - si colpiscono le popolazioni insediate lungo la strada lasciandole nel loro isolamento. Quello che non accetto è che gli ecologisti della spiaggia di Ipanema decidano il destino del popolo dell’Amazzonia» sentenzia Braga, alludendo chiaramente al ministro Carlos Minc.
Manaus è senza dubbio quella che ha maggiormente da perdere dalla chiusura della strada. Affacciata nel punto in cui il Rio delle Amazzoni incontra il Rio Negro, è una metropoli praticamente isolata in mezzo alla foresta, sebbene sia un polo industriale di importanza internazionale. Porto Velho sente meno la mancanza di un collegamento con Manaus. «Qui siamo tutti contrari alla costruzione della strada - racconta Ida Paes, 44 anni, contabile federale nella capitale della Rondonia - Esiste l’opzione della ferrovia, che è molto più sostenibile, ma non viene presa in considerazione. La riapertura della strada creerebbe molti problemi. Il fatto è che Manaus è molto isolata, grande parte del commercio avviene ancora attraverso il fiume. Noi di Porto Velho siamo collegati a Cuiabà (la prospera capitale del Mato Grosso) attraverso la BR 364 e siamo meno isolati».
In certi tratti, è terra di nessuno. Dal 2006 gli indios delle etnie Tenharim e Diahoi, insediati in una riserva immensa di 1,2 milioni di ettari in cui passa un tratto di sessanta chilometri della BR-319, chiedono il pedaggio ai viaggiatori. Il costo varia dai 10 a 100 Reais (da 3,5 a 35 Euro) a seconda della dimensione del veicolo. Secondo i leader indigeni, il pedaggio si giustifica come «tassa di compensazione ambientale» per i danni subiti dalle comunità a causa della strada. Anche senza BR-319, il far-west, è già qui.