Alessio Brunialti, Libero 30/7/2009, 30 luglio 2009
«NO AL TRANELLO DELL’ARTISTA SVAGATO». L’OSSERVATORE ROMANO STRONCA GIOVANNI ALLEVI
Non ce ne vogliano i colleghi de ”L’Osservatore Romano” ma tutti immaginavamo la redazione del ”giornale quotidiano politico religioso” come un luogo austero e immerso nel silenzio millenario: sicuramente anche là si utilizzano i computer e non ci sono miniatori addetti ai capolettera ma, insomma, non è facile considerarlo un periodico-champagne. In sottofondo, al massimo, le discrete note di un pianoforte. E invece, a quanto pare, eravamo tutti in errore. In via dei Pellegrini strippano per Springsteen e seppelliscono Giovanni Allevi con uno sbadiglio.
Un sonorissimo sbadiglio visto che Marcello Filotei, dalle colonne del periodico del Vaticano, non usa mezzi termini per condannare non tanto le composizioni del musicista ascolano (che, si capisce, non lo interessano più di tanto). Il biasimo è tutto per l’atteggiamento, per il ”personaggio Allevi” che sarebbe stato costruito a tavolino in una sorta di circonvenzione di incapace dove la vittima è l’intervistatore (nonché tutto il pubblico) che si lascia abbindolare. «Verdi, Wagner, Mozart, Puccini: Allevi li cita uno dopo l’altro ogni volta che qualcuno gli sottopone le critiche provenienti da ogni musicista minimamente avvertito delle cose dell’arte. Il problema non è tanto la musica che il giovane pianista compone, ognuno è pure libero di utilizzare il proprio tempo come crede, ma il tentativo di spacciarla come ”classica contemporanea”. E allora giù a ricordare all’accondiscendente intervistatore del quotidiano La Stampa che tutti i grandi del passato si sono trovati nelle sue condizioni, vessati e criticati perché c’è ”un mondo accademico che vive come un’offesa personale il fatto che la musica colta possa diventare popolare senza passare attraverso loro”». Insomma, il riccioluto pianista, che vende milioni di copie, non incanta chi lo definisce, tutt’al più, ”strambo”. E il Boss? Beh, «la carica che riesce a trasmettere nonostante i quasi sessant’anni, è pari alle emozioni che la musica e i testi comunicano» abbiamo letto sulle medesime pagine a poche ora dalla torrenziale performance capitolina dell’americano che «con la grinta e la bravura di sempre durante i suoi concerti assicura tre ore di buon rock». Lui sì, insomma, mentre «in un Paese come l’Italia, dove c’è chi, come Alessandro Baricco, arriva a scrivere e dirigere film per spiegare che Beethoven è sopravvalutato, è abbastanza frequente che si cada nel tranello dell’artista svagato - sempre parole del quotidiano della Santa Sede - Certo non è colpa dell’artista in questione, ma di un sistema scolastico fatto di flauti dolci e Fra Martino campanaro che spesso non fornisce gli strumenti per distinguere Arisa da Billie Holiday, figuriamoci Puccini da Allevi». Insomma, cari musicofili cattolici, Giovanni è un falso profeta, Bruce è il vero Dio. Francamente, pur non riservando critiche così feroci all’innocuo Allevi, siamo perfettamente d’accordo.