Renato Pezzini, il Messaggero 30/7/2009, 30 luglio 2009
DAI GIUDICI ALLA TV, TUTTE LE SPARATE ETNICHE DI BOSSI
MILANO- Nella mente di Bossi era già tutto previsto: «Quando nascerà il nuovo stato padano, le tasse pagate dalla gente del nord rimarranno al nord, e finalmente non avremo più giudici e insegnanti meridionali». Così parlò dal suo rifugio estivo di Ponte di Legno il senatur nell’agosto 1996. Parevano parole di un leader disperato e allo sbando, senza alleanze su cui contare (il patto col Cavaliere si era frantumato l’anno prima), costretto a cercare visibilità con l’invenzione della fantomatica ”padania” che di lì a poco sarebbe andato a celebrare sulle scarsamente affollate rive del Po.
Rilette adesso quelle parole assumono invece le tinte profetiche di un sinistro progetto covato e custodito per anni. ”Le tasse del nord al nord” sono ciò che oggi viene nobilitato dalla definizione ”federalismo fiscale”. E per quanto riguarda l’altolà a magistrati e insegnanti ”terroni”, il tasto è caldissimo. A conferma del fatto che l’odierno Bossi di governo non è diverso dal Bossi barricadero di dodici anni fa. Il Bossi di governo, infatti, è il ministro delle Riforme che nel luglio 2008 - furibondo per la seconda bocciatura del figlio Renzo all’esame di maturità - si esibisce con queste parole: «Gli studenti del nord non si meritano insegnanti del sud. Non possiamo lasciar martoriare i nostri figli da professori che non vengono dal nord». Ed è lo stesso uomo di Governo che un mese fa, a Varese, reclama giudici lombardi per la Lombardia «perché se uno va in un’aula di tribunale e parla il dialetto ha il diritto di essere capito».
Adesso questa storia del dialetto diventa iniziativa politica. Lanciata e poi ritrattata nello spazio di un giorno, com’è tipico di una furbizia popolare che nel ritirare la mano sa già che il sasso è comunque lanciato, pronto a colpire. Perché non è solo folklore estemporaneo l’anti-meridionalismo della Lega Nord. E’ insieme progetto politico e ricerca di consenso. E’ strategia di visibilità, ma anche strumento per dare identità unitaria a un bacino elettorale che storicamente di unitario ha molto poco. E del resto, il cemento che unisce i sedicenti ”padani” non è tanto l’amore per la propria terra, ma il sospetto, il disprezzo, talvolta perfino l’odio per chi viene da fuori. Questo è un Bossi doc del 1997, all’indomani di elezioni poco lusinghiere per lui: «Nelle grandi città come Milano e Torino gli immigrati si sono pronunciati contro la libertà del nord e hanno scelto dei pezzi di merda. Il dramma è che il nord si è consegnato a insegnanti meridionali, a magistrati meridionali. La lotta contro di loro sarà frontale».
Il primo amore non si scorda mai. E se è vero che a cicli alterni sull’altare del nemico pubblico il Carroccio sacrifica gli islamici, o gli albanesi, o i romeni, è anche vero che nei momenti caldi i leghisti guardano alle origini e il Sud (da Roma in giù) torna ad assumere agli occhi del popolo bossiano le sembianze del male. Basta girovagare un po’ sui blog di simpatie nordiste per trovare ancora oggi cose così: «Culo basso, gambe corte, altezza minuta, pelle scura od olivastra, occhi neri e capelli nerissimi, peloso, dotato di poca voglia di lavorare, propenso al clientelismo, all’assistenzialismo e alle affiliazioni mafiose, scansafatiche, codardo, vigliacco e menzognero con tutti: queste sono le caratteristiche del terrone doc».
I dirigenti leghisti non arrivano a tanto. Però, occhieggiano a quel sentimento livoroso, provano a sdoganarlo trasformandolo in una miriade di bizzarre iniziative che riempirebbero un’enciclopedia. Quella, per esempio, del deputato Daniele Apolloni che in parlamento chiese di bocciare il piano di metanizzazione del Mezzogiorno «perché al Sud non fa freddo: cosa se ne fanno i meridionali del metano?». Gli inutili cartelli stradali bilingue (italiano e dialetto) che accolgono i visitatori nei paesi delle valli bergamasche e bresciane furono a metà degli anni 90 una chiamata alle armi in senso anti-italiano. Mario Borghezio, tra le sue innumerevoli trovate, auspicò nello stesso periodo la nascita di una Chiesa del Nord che permettesse ai padani di «non frequentare la Chiesa di Roma». Nel 2001 a Trento il gruppo leghista in Provincia fece fuoco e fiamme per opporsi all’assunzione di un usciere «perché siciliano». E chi più ne ha più ne metta, fino ad arrivare all’ex ministro Castelli che, dieci giorni fa, se l’è presa con gli attori italiani che «interpretano qualsiasi ruolo con accento romanesco».
Iniziative e parole destinate a naufragare nel nulla. Ma il loro vero scopo è un altro: allargare il solco che, nella mente dei padani, divide ”noi” da ”loro”.