Andrea Rossi, La stampa 29/7/2009, 29 luglio 2009
ALLARME TRA I GIOVANI UNO SU TRE A RISCHIO
Alessio l’hanno salvato due addetti del 118 tre sere fa fuori da un locale di corso Vittorio Emanuele. Era riverso sul marciapiede, senza coscienza. «Sembra morto», ha detto una sua amica chiamando i soccorsi. Era solo in coma etilico, il giorno dopo stava bene.
Alessio è un nome come tanti con una storia simile a troppe altre. In Piemonte ci sono oltre 6 mila persone in cura presso i centri che curano la dipendenza da alcol; 400 hanno meno di trent’anni. Ma sono i casi limite, il vertice di una piramide molto più estesa. Sotto si agita un universo che l’Istituto superiore di Sanità definisce «a rischio». E qui il Piemonte custodisce un primato negativo: il 34 per cento dei ragazzi tra 11 e 18 anni è a rischio, ed è il tasso più elevato tra tutte le regioni italiane. Molto meglio le ragazze: in ”pericolo” solo il 13 per cento. Il quadro migliora per i giovani tra 19 e 24 anni: qui i dati sono in linea con la media nazionale.
Resta l’allarme sui giovanissimi, ragazzi come i minorenni che svaligiavano un chiosco in Valsusa per poi imbottirsi d’alcol, fino a ritrovarsi in un letto d’ospedale in coma etilico. «E’ molto preoccupante rilevare che già a undici anni il consumo di alcol sia diffuso, anche in dosi elevate», spiega Paola Damiano del servizio di Alcologia dell’Asl To2. «Si sta diffondendo un uso sempre più ”nordico” del bere: intossicante, massiccio e concentrato». Anche Franco Prina, docente di Sociologia della devianza all’Università di Torino, parla di «modello nordico», tipico delle culture definite «asciutte, in cui l’alcol è un elemento di socialità e il suo consumo, anziché essere distribuito, è racchiuso in alcuni giorni della settimana». In Italia, fino a pochi anni fa, non era così. O lo era di meno. «Tra i ragazzi c’è un cambiamento nelle modalità di approccio al bere - aggiunge Prina - Un tempo era più legato all’ambito familiare. Si cominciava a bere in famiglia, in un contesto controllato, dove si veniva in qualche modo educati».
Sempre più nordici, forse, ma ancora molto lontani: tutte le analisi comparative restituiscono quest’immagine. Da noi si comincia a bere presto ma non si raggiungono - in media - certi livelli. «Oggi c’è più facilità di accesso a qualunque sostanza, non solo bevanda, e meno controlli esterni - dice Sara Rolando, ricercatrice di Eclectica, gruppo di formazione attivo anche nel campo della prevenzione - però la situazione non è fuori controllo». Troppo allarmismo? «Più che altro gli allarmi non sempre aiutano la prevenzione. Il fenomeno, poi, va analizzato nel suo complesso: il ricorso all’alcol è anche la ricerca di uno stordimento da ansia, vuoto, difficoltà a trovare prospettive e un equilibrio. E, soprattutto, dalla volontà di mantenersi al livello delle performance sociali richieste, che tra i giovani sono sempre più alte».
Anche il professor Prina predica cautela: «La cultura dello sballo e dell’estraniazione è tipica anche di molti adulti. Non va ricondotta all’universo giovanile; semmai è stata assorbita dai ragazzi. Per fortuna i dati ci dicono che con l’età gli eccessi calano». Però, nel frattempo, si lasciano alle spalle una lunga scia di drammi: «I giovani fino a 25 anni sono i più coinvolti negli incidenti stradali», racconta Paola Damiano. «Una fascia che rappresenta il 40 per cento degli schianti mortali».