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 2009  luglio 29 Mercoledì calendario

MERLUZZI DA SANTIAGO E GAMBERI DALL’ARGENTINA DOV’E’ LA SOGLIOLA ITALIANA?


Tutte le sere dall’aeroporto di Dakar decollano, direzione Malpensa, due carghi pieni di saraghi e pagri. Da Santiago del Cile arrivano i merluzzi neri. Dalle coste atlantiche dell’Africa platesse, sogliole e aragoste. Dal sud est asiatico i gamberetti bianchi. Il 90% dei gamberoni che finisce sulle tavole degli italiani, invece, è «made in Argentina».
Il centro di smistamento è il mercato generale di Milano, il più grande del sud Europa. qui che i cartelli della grande distribuzione e le società internazionali di mediazione decidono i prezzi giorno per giorno. qui che arrivano i prodotti dei grandi poli pescherecci italiani (Mazara del Vallo, Genova, San Benedetto del Tronto). da qui che conviene partire per capire cosa finisce nei nostri piatti. I dati parlano chiaro: importiamo 991 mila tonnellate di pesce, e ne esportiamo solamente 159 mila tonnellate. Gran parte delle orate e delle spigole provengono dalla Grecia e dalla Turchia, le alici e le sardine dalla Croazia e dalla Slovenia, i salmoni dalla Danimarca e dalla Svezia, gli sgombri dalla Spagna, le sogliole dai Paesi Bassi, i mitili dalla Spagna e le seppie dalla Francia.
La filiera lunga
Ma perché importiamo tutto questo pesce? «La filiera ittica è ancora troppo lunga - analizza Massimo Coccia, presidente della Federcoopesca-Confcooperative - La concorrenza estera riesce ad offrire di più a meno, complici anche le condizioni di lavoro che spesso sono al di sotto degli standard europei. Inoltre le abitudini alimentari dei consumatori italiani sono povere, specialmente nell’entroterra, dove sono orientate solo su una piccola gamma di prodotti». Per mangiare pesce fresco italiano il modo migliore è andare ad acquistarlo alle aste del pesce locali, dove arriva tutto il pescato della marineria di riferimento (che ha un’area di competenza molto limitata, in genere non più di 5 chilometri di costa), o dai dettaglianti che si riforniscono direttamente dai pescatori. Chi abita lontano dal mare può solo mettersi il cuore in pace. E affidarsi alla pescheria di fiducia. «La domanda di pesce nazionale è talmente alta che nessuna flottiglia e nessun allevamento potrebbe riuscire a soddisfarla - spiega Silvio Greco, biologo marino e coautore con Silvia Scaffidi di ”Guarda che mare. Come salvare una risorsa”, edizioni Slow Food 2007 - La quasi totalità del pesce immesso sul nostro mercato è surgelato o congelato e arriva da 44 Paesi diversi. Anche d’estate, quando le condizioni sono più favorevoli, solamente un 25-30% del pescato proviene dalle nostre coste».
La pigrizia dei consumatori
Ettore Ianì di Lega Pesca è leggermente più ottimista: «Acquistiamo all’estero circa il 55-60% dei prodotti, e il motivo principale è che siamo pigri e scegliamo pesci non presenti al largo delle nostre coste. Inoltre i consumatori spesso sono disattenti e non badano a quello che acquistano. Basti pensare che, nonostante l’obbligo dei cartellini dettagliati con la carta d’identità della merce esposta, nel 38% dei casi questa è incompleta, e nel 17% addirittura assente». Siamo vittime di quelli che, gli addetti ai lavori, chiamano pesci-bistecca, come i filetti di tonno e di pesce spada. Tutti li vogliono perché sono gustosi, pratici e senza lische. E naturalmente bisogna importarne grandi quantità. Negli ultimi anni, in ogni caso, sono stati fatti alcuni passi in avanti per aiutare i consumatori nella scelta, come le etichette obbligatorie che accompagnano i prodotti ittici venduti nei supermercati (che controllano il 46,9% del mercato), nelle pescherie (che smerciano il 35,2% dei prodotti ittici) e nei mercati rionali (anche se la loro quota si è ridotta al 13%). Se il luogo di provenienza del pesce non è scritto, comunque, sul bancone dev’essere riportato un numero che permette, quantomeno, di risalire all’area geografica: 21 per l’Atlantico Nord Occidentale, 27 per l’Atlantico Orientale, 51 e 57 per l’Oceano Indiano e 37 per il Mar Mediterraneo.