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 2009  luglio 29 Mercoledì calendario

ESSERE IN GUERRA SENZA AMMETTERLO IL MISTERO DELLE REGOLE D’INGAGGIO


"Il nostro successo si misura sul numero di afgani protetti, non sugli avversari uccisi"

Nei momenti difficili delle operazioni in Afghanistan il dibattito politico e la stessa curiosità del pubblico si concentrano sulle regole d´ingaggio. Ed è giusto che sia così. Siamo un popolo troppo smaliziato per non pensare che si può decidere di rafforzare i contingenti con nuove armi ed evitare i rischi politici di tale decisione semplicemente negando le autorizzazioni al loro impiego. Siamo abituati alle marce indietro e in politica siamo diventati maestri nel "moonwalking" del compianto Michael Jackson, che andava indietro camminando in avanti. Sappiamo anche bene che ogni direttiva ufficiale è sempre seguita da un contrordine ufficioso o, peggio, da silenzi più eloquenti ed espliciti delle direttive stesse. Dobbiamo perciò vigilare tutti, perché da come si orientano le regole d´ingaggio si possono percepire gli sviluppi della situazione operativa ma anche i rischi che corrono sul campo i soldati e in patria i governanti.
La Germania, dopo anni di discussioni pubbliche, in questi giorni ha rimosso il limite che vietava ai soldati tedeschi di condurre azioni offensive o di intraprenderle senza una palese minaccia. Tale limite rifletteva una posizione politica che vedeva la missione tedesca in Afghanistan come un supporto alla sovranità del Paese e la sicurezza militare come uno degli strumenti a disposizione. La rigida applicazione della regola aveva però comportato un rischio maggiore per i soldati, e soprattutto ne aveva aumentato la frustrazione. Nel 2008 un capo Taliban era sfuggito alla cattura perché i tedeschi non lo avevano fermato. E tutto il contingente ne aveva sofferto. I soldati rientrati in patria amplificavano il disagio, ma per anni la politica aveva perfino aumentato le restrizioni. I commandos tedeschi, gli unici autorizzati ad ingaggiare con le armi il potenziale avversario, erano stati ritirati dall´Afghanistan e perfino accusati di atrocità. Nel frattempo i soldati che nel 2008 erano rientrati con chiare patologie da stress post traumatico e da senso d´impotenza erano triplicati rispetto al 2007. Ed è stato questo a far ammettere al governo tedesco la possibilità d´intervento offensivo.
Sul versante americano si è tentato l´approccio opposto: il nuovo comandante, generale McChrystal, ha detto chiaramente: «Il metro del successo delle operazioni non sarà più il numero di avversari uccisi ma il numero di afgani protetti». Per questo ha iniziato la sua operazione di controllo del territorio richiedendo di ridurre le perdite e i rischi per i civili. I due casi vanno in direzioni opposte, ma entrambi derivano da una forte presa di coscienza sulla natura del conflitto e sugli strumenti concettuali e pratici per vincerlo proteggendo i soldati. I tedeschi hanno individuato la loro priorità nazionale nella motivazione dei soldati e hanno deciso di limitarne la frustrazione. McChrystal ha ritenuto che le perdite civili e le offese gratuite alla popolazione fossero più gravi del rischio di lasciar scappare qualche Taliban. Entrambe le considerazioni comportano un cambio sostanziale di strategia, ma si allineano perfettamente con la politica dei rispettivi governanti. Le misure funzioneranno o no, ma tanto di cappello alla politica e ai generali.
Meno eccitante è invece l´esempio di quei Paesi (non siamo i soli) che non vogliono ammettere di trovarsi in un conflitto, che fanno salti mortali per non pronunciare la parola guerra, che inviano aerei da bombardamento fingendo che abbiano ruoli da ricognizione, che mandano elicotteri d´attacco "difensivi", che inviano nuove armi e mezzi senza mai modificare le regole per il loro impiego, che lasciano i soldati e i comandanti nella nebbia e non ammettono di ritrovarsi in una missione sostanzialmente cambiata da quella inizialmente intrapresa. Una missione che bisognerebbe verificare periodicamente alla luce dei risultati ottenuti e che oggi andrebbe ridefinita negli scopi e nelle aspettative, oltre che nelle regole d´ingaggio.