Sergio Romano, Corriere della sera 29/7/2009, 29 luglio 2009
L’ENIGMA RAFSANJANI L’IDEOLOGIA E GLI AFFARI
Ho avuto occasione di incontrare l’ayatollah Rafsanjani quando ero ambasciatore a Teheran.
Riceveva nel lussuoso palazzo del senato imperiale e non come Khomeini in un capannone con pavimento di terra battuta. Porta il copricapo bianco dei «sayed» e non quello nero dell’alto clero sciita che si richiama alla discendenza da Maometto.
Rafsanjani difendeva a spada tratta il regime khomeinista.
La sua folgorante carriera ai vertici del potere induce a qualche cautela nel farne ora la ipotetica punta del riformismo e il burattinaio di Moussavi. Il suo recente sermone è un capolavoro di astuzia e ambiguità. Avergli consentito di parlare dal pulpito più ascoltato del venerdì solleva qualche dubbio sullo scopo di una sceneggiata forse anche finalizzata a strumento di propaganda esterna a prova di apparente apertura alla democrazia.
Francesco Mezzalama , Roma
Caro Mezzalama,
Ricordo ai lettori che Hashemi Rafsanjani è stato presidente della Repubblica per due mandati (dal 1989 al 1997) e che è oggi presidente dell’Assemblea degli esperti, vale a dire dell’organo istituzionale che designa il leader supremo e può addirittura, in alcune circostanze, destituirlo. Fu battuto da Ahmadinejad nelle elezioni presidenziali di quattro anni fa, ma rimane pur sempre una delle personalità più autorevoli in un delicato ingranaggio di pesi e contrappesi. Non basta. Grazie alla coltivazione e al commercio dei pistacchi (una posta importante dell’intercambio iraniano) è uno dei più ricchi uomini d’affari del Paese: una qualità che i suoi avversari gli hanno frequentemente rimproverato.
Nella sua recente «preghiera del venerdì» Rafsanjani ha mosso critiche molto severe alla gestione politica delle grandi manifestazioni di protesta delle scorse settimane ed è parso mettere in discussione, implicitamente, l’autorità del leader supremo. Ma lei, caro Mezzalama, pensa che questa omelia appartenga al gioco delle parti e sia quindi strumentale. certamente possibile. La politica iraniana può essere molto scaltra e sottile. Ma non sarebbe giusto dimenticare che Rafsanjani ha sempre incarnato l’anima economica della rivoluzione iraniana. In un bel libro sui contatti segreti fra Iran, Usa e Israele, apparso presso la Yale University Press, uno studioso, Trita Parsi, ricorda che il suo programma, quando divenne presidente della Repubblica, fu quello di «rompere l’isolamento internazionale» dell’Iran e di fare della ricostruzione economica (il Paese era appena uscito dalla guerra con l’Iraq) «una cruciale priorità». Più tardi respinse la tesi secondo cui la politica estera dell’Iran avrebbe dovuto basarsi su motivazioni ideologiche, indipendentemente da qualsiasi pratica conseguenza. Fu questa la ragione per cui, verso la metà degli anni Novanta, lanciò un interessante segnale agli Stati Uniti offrendo un proficuo contratto alla società petrolifera americana Conoco. L’affare, per un miliardo di dollari, stava per concludersi con l’approvazione della Casa Bianca quando la lobby filoisraeliana (Aipac, American Israel Public Affairs Committee) lanciò una campagna politica contro l’Iran e riuscì a impedirne la conclusione. Forse converrebbe riservare alle parole di Rafsanjani, in questa fase della politica iraniana, almeno il beneficio del dubbio.