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 2009  luglio 29 Mercoledì calendario

L’ENIGMA RAFSANJANI L’IDEOLOGIA E GLI AFFARI


Ho avuto occasione di incontrare l’ayatollah Rafsanjani quando ero ambasciatore a Teheran.
Riceveva nel lussuoso palazzo del senato imperiale e non come Khomeini in un capannone con pavimento di terra battuta. Porta il copricapo bianco dei «sayed» e non quello nero dell’alto clero sciita che si richiama alla discendenza da Maometto.
Rafsanjani difendeva a spada tratta il regime khomeinista.
La sua folgorante carriera ai vertici del potere induce a qualche cautela nel farne ora la ipotetica punta del riformismo e il burattinaio di Moussavi. Il suo recente sermone è un capolavoro di astuzia e ambiguità. Avergli consentito di parlare dal pulpito più ascoltato del venerdì solleva qualche dubbio sullo scopo di una sceneggiata forse anche finalizzata a strumento di propaganda esterna a prova di apparente apertura alla democrazia.
Francesco Mezzalama , Roma

Caro Mezzalama,
Ricordo ai lettori che Hashemi Rafsanjani è stato presidente della Repubblica per due mandati (dal 1989 al 1997) e che è oggi presidente dell’Assemblea de­gli esperti, vale a dire dell’orga­no istituzionale che designa il leader supremo e può addirittu­ra, in alcune circostanze, desti­tuirlo. Fu battuto da Ahmadi­nejad nelle elezioni presiden­ziali di quattro anni fa, ma ri­mane pur sempre una delle per­sonalità più autorevoli in un delicato ingranaggio di pesi e contrappesi. Non basta. Grazie alla coltivazione e al commer­cio dei pistacchi (una posta im­portante dell’intercambio ira­niano) è uno dei più ricchi uo­mini d’affari del Paese: una qua­lità che i suoi avversari gli han­no frequentemente rimprovera­to.
Nella sua recente «preghiera del venerdì» Rafsanjani ha mosso critiche molto severe al­la gestione politica delle grandi manifestazioni di protesta del­le scorse settimane ed è parso mettere in discussione, implici­tamente, l’autorità del leader supremo. Ma lei, caro Mezzala­ma, pensa che questa omelia appartenga al gioco delle parti e sia quindi strumentale. cer­tamente possibile. La politica iraniana può essere molto scal­tra e sottile. Ma non sarebbe giusto dimenticare che Raf­sanjani ha sempre incarnato l’anima economica della rivolu­zione iraniana. In un bel libro sui contatti segreti fra Iran, Usa e Israele, apparso presso la Yale University Press, uno studioso, Trita Parsi, ricorda che il suo programma, quando divenne presidente della Repubblica, fu quello di «rompere l’isolamen­to internazionale» dell’Iran e di fare della ricostruzione econo­mica (il Paese era appena usci­to dalla guerra con l’Iraq) «una cruciale priorità». Più tardi re­spinse la tesi secondo cui la po­litica estera dell’Iran avrebbe dovuto basarsi su motivazioni ideologiche, indipendentemen­te da qualsiasi pratica conse­guenza. Fu questa la ragione per cui, verso la metà degli an­ni Novanta, lanciò un interes­sante segnale agli Stati Uniti of­frendo un proficuo contratto al­la società petrolifera america­na Conoco. L’affare, per un mi­liardo di dollari, stava per con­cludersi con l’approvazione del­la Casa Bianca quando la lobby filoisraeliana (Aipac, American Israel Public Affairs Commit­tee) lanciò una campagna poli­tica contro l’Iran e riuscì a im­pedirne la conclusione. Forse converrebbe riservare alle paro­le di Rafsanjani, in questa fase della politica iraniana, almeno il beneficio del dubbio.