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 2009  luglio 29 Mercoledì calendario

La dimensione ideale di una banca? Ricerca inutile, non esiste - Il problema delle dimensioni delle banche non cessa di essere attuale

La dimensione ideale di una banca? Ricerca inutile, non esiste - Il problema delle dimensioni delle banche non cessa di essere attuale. Dopo la presa di posizione della Banca nazionale svizzera, della Banca dei Regolamenti Internazionali e di un commissario dell’Unione europea, tutti orientati a chiedere una riduzione delle dimensioni delle grandi banche internazionali e addirittura a porre in proposito dei limiti massimi entro i quali esse dovrebbero essere contenute per poter essere considerate non più così grandi da non poter fallire, ci sono due argomenti sui quali discutere. Il primo è la conferma che il rientro a dimensioni più governabili è capace di dare un contributo al fine del ripristino di condizioni di redditività soddisfacente delle banche. In queste settimane si stanno infatti pubblicando i risultati trimestrali di alcune di esse, che mettono in evidenza un ritorno a utili in taluni casi anche cospicui e comunque inattesi. Soprattutto nel caso delle banche americane tale ritorno è stato favorito dagli interventi statali che in vario modo hanno rafforzato l’attivo e il patrimonio delle stesse. Anche il ridimensionamento aziendale, realizzato essenzialmente con l’eliminazione di cespiti e di attività non più strategiche, con massicci tagli di personale e con il ricambio del top management, è stato tuttavia importante. Il secondo argomento riguardo la ricerca di un limite al di là del quale le dimensioni delle banche non dovrebbero andare per poter essere lasciate, in caso di difficoltà, fallire senza temere drammatiche conseguenze a livello economico e sociale, anche perché non in grado di produrre quell’effetto domino tanto temuto nel recente passato. Dico subito che si tratta di una ricerca inutile, perché una dimensione ideale valida per tutti non esiste. Le banche non sono caratterizzate solo dai numeri del loro attivo, del loro passivo e del loro patrimonio. Altrettanto determinanti sono le caratteristiche della raccolta (al dettaglio, all’ingrosso, a breve, a medio o a lungo termine, modalità tecniche, metodi e livelli di rimunerazione e così via), quelle degli impieghi (titoli, prestiti, qualità dei debitori, scadenze, modalità tecniche, grado di concentrazione anche con riferimento a settori merceologici o a zone territoriali e così via), quelle delle attività e passività fuori bilancio, quelle delle partecipazioni (totalitarie, maggioritarie, di minoranza, con riferimento ai settori di attività delle singole partecipate e così via), i rapporti intergruppo e tutta una serie di altri elementi che sono facilmente immaginabili. Riportare il tutto a un semplice dato dimensionale è quindi fuorviante. Ricordo inoltre che quando si pongono dei limiti quantitativi alle cose, si corrono sempre forti rischi di discriminazioni. Nel caso specifico, banche con dimensioni leggermente superiori a quelle di altre che fossero rimaste entro i limiti prefissati subirebbero un trattamento fortemente diverso. Sarebbe giusto? Sarebbe ragionevole? Dato che l’impatto sull’economia reale e sul mercato finanziario e sugli stakeholder della crisi delle banche sarebbe sostanzialmente uguale, la risposta ai nostri quesiti è automatica. Con questo non voglio affatto dire che le dimensioni non sono importanti. Anzi, ho appena citato il benefico effetto prodotto sull’economicità aziendale dalle riduzioni delle dimensioni di banche che si erano spinte oltre i limiti della governabilità realizzando drammatiche diseconomie di scala. Voglio invece dire che, di fronte alla crisi di una banca, l’elemento dimensionale è importante ma, da solo, non è sufficiente per far decidere alle autorità competenti se quella banca deve essere lasciata fallire oppure no. Per decidere occorrono molti altri elementi di carattere qualitativo che le autorità competenti dovrebbero acquisire nei loro archivi prima della manifestazione dei sintomi della crisi. L’azione di vigilanza deve essere preventiva, in modo da poter informare le autorità senza indugi e in modo piuttosto dettagliato sugli elementi strutturali delle singole banche, da cui dipendono le possibilità di tenuta quando la crisi è alle porte. In questo modo sarebbe facile identificare con largo anticipo le banche che possono essere lasciate fallire e quelle che sarebbe indispensabile salvare. Ma sarebbe ancora più facile intervenire su queste ultime affinché abbandonino le caratteristiche del too big to fail per rientrare fra quelle della prima categoria. Il core business della vigilanza bancaria a livello mondiale è questo. Che poi, per permettere che tale attività sia svolta al meglio, siano necessari un sistema di vigilanza e delle regole più rigide di quelle attuali, che sono state condannate dalla storia, è del tutto vero, ma è altra cosa rispetto all’oggetto di queste note, che vorrebbero evitare che, nel tentativo di perseguire obiettivi importanti in termini aritmetici, si dimentichi l’essenza del problema, che è a monte di quello che tale tentativo vorrebbe raggiungere.