Massimo Gaggi, Corriere della sera 29/7/2009, 29 luglio 2009
QUELL’OMBRA SULLA RIPRESA
L’Europa scopre con costernazione che la bolla del credito al consumo sta scoppiando anche da questo lato dell’Atlantico. Eppure negli Usa, dove il livello delle insolvenze sulle carte di credito, arrivato a quota 14%, è già doppio rispetto a quello dell’area Ue, non si respira un clima da «ultima spiaggia». Allarme eccessivo, allora? Se il timore è quello di nuovi crolli nel sistema bancario la risposta è, probabilmente, sì: lo «stress test» al quale sono state sottoposte le banche Usa ha accertato che i 19 principali istituti accuseranno entro il 2010 perdite sulle loro attività nel credito al consumo per oltre 80 miliardi di dollari: una cifra enorme, ma non comparabile con la distruzione di ricchezza avvenuta nel settore dei mutui-casa e nel mercato dei derivati. Perdite che le banche stano riassorbendo grazie ai sostegni diretti offerti dal governo federale e alla politica della Federal Reserve che da molti mesi, ormai, fornisce agli istituti denaro a «costo zero».
In Europa gli interventi sono stati meno decisi e c’è anche una maggiore opacità: i risultati degli «stress test» sulle banche, ad esempio, non sono stati resi di pubblico dominio, soprattutto per volontà delle autorità tedesche e francesi. Ma in diversi Paesi – e, tra questi, l’Italia – banche e consumatori hanno fatto un ricorso molto limitato al credito al consumo con rimborsi rateali differiti, i più rischiosi: da noi le spese fatte col Bancomat e l’85% di quelle regolate con carta di credito vengono saldate a fine mese. Questi Paesi, insomma, rischiano assai poco con le carte di credito, mentre in Gran Bretagna, lo Stato più esposto, il governo è già intervenuto massicciamente nazionalizzando gli istituti che rischiavano di soccombere alla crisi.
Il punto è un altro: il ritorno delle economie occidentali sui binari della crescita dopo una recessione che dura ormai da 20 mesi si sta rivelando più problematico del previsto e la crisi del credito al consumo complica ulteriormente le cose. I dati reali della crisi si rivelano spesso peggiori delle previsioni perché molte analisi hanno sottovalutato l’impatto dell’aumento della disoccupazione sulla capacità dei cittadini di far fronte ai loro debiti. Vale per le carte di credito ma, negli Usa, vale ancor di più per le case: continuano a perdere valore proprio perché stanno andando in «default» non solo i mutui «subprime», ma anche quelli sani, contratti da gente che disponeva di un reddito adeguato, ma che ora, perso il lavoro, non può far fronte ai suoi impegni.
Negli ultimi due giorni dal mercato immobiliare Usa è venuto qualche segnale che fa sperare, ma il rischio è che, tra nuovi disoccupati e contrazione prolungata dei consumi, l’economia resti debolissima anche nel 2010. In America l’orgogliosa bandiera del «plastic money », il combustibile dell’iperconsumismo, è stata ammainata già da quasi un anno: i livelli di spesa si sono abbassati, si cerca di tornare a risparmiare e un consumatore su quattro dichiara di usare il denaro contante molto più di prima. E’ un faticoso ritorno alla sobrietà dopo la «sbornia» del debito facile. Una frugalità necessaria, laddove le famiglie sono molto esposte: ci restituirà un’America più sana, non certo una locomotiva.