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 2009  luglio 28 Martedì calendario

MARISOL E LE ALTRE CONTRO I LADRI DI FIGLI


Marisol ha 40 anni, da undici è a Genova. Voleva aprire un ristorante, specialità ecuadoriane, ma il padre di sua figlia l’ha minacciata. «Guai a te!». Così adesso Marisol fa le pulizie. Il padre di sua figlia, pare, voleva la casa dove abitavano. E voleva la bimba. Il padre di sua figlia aveva un’altra donna. Un giorno le piombò in casa con altri uomini in divisa. Poliziotti. Poliziotti che scappano quando Marisol chiama i carabinieri. Poi capita in questura, all’ufficio passaporti, e riconosce l’altra donna, in uniforme, che era venuta a casa sua per dirle che o rinunciava alla bambina oppure l’avrebbe fatta rinchiudere in manicomio. Il padre della bambina menava Marisol e sua madre che era venuta dall’Ecuador per darle una mano. Quando è iniaziata la "guerra", Ilaria aveva un anno, ora ne ha sei. Quando arrivò la carta che spiegava l’affidamento ai servizi sociali, Marisol pensò che "servizi sociali" sono due parole positive. Che magari c’era qualcuno che avrebbe messo una buona parola per far tornare la pace. Invece scoprì che il padre della sua bambina le aveva sottratto la casa dichiarando il falso. Era il 17 dicembre del 2007. Marisol non capisce tanto accanimento. Sa che «tutti i giorni ci sono persone che si lasciano». Ammette l’ingenuità, capisce di essere stata derubata. Decide di ribellarsi. Ilaria, intanto, racconta a scuola che il padre la picchia. La dirigente scolastica dichiara di non aver mai avuto contatti con i servizi sociali che, invece, l’avrebbero dovuta seguire. Semplicemente non si sono mai fatti sentire. Eccetto che per allontanare la bambina dalla scuola dopo la denuncia della madre.
Cinquecento, novecento, chi lo sa davvero quante siano le madri ecuadoriane come Marisol. Minimo comun denominatore delle loro storie è quello di avere quasi sempre mariti italiani e violenti, e di imbattersi in istituzioni sorde, distratte, complici, razziste. Per la burocrazia sono quasi sempre matte e spesso hanno avuto rapporti difficili con le polizie. Come ieri, ad esempio, che in dieci sono scese a Roma, viaggiando di notte, per incatenarsi di fronte al ministero di Giustizia. Come hanno visto fare in tv alla mamma di Denise Pipitone. Ma mica glielo hanno fatto fare, anzi, le hanno confinate in un angolo di piazza Cairoli, lontano dall’ingresso del Guardasigilli. Una delegazione è salita e pochi minuti dopo è scesa. «Vi faremo sapere».
Così hanno deciso di andare a Montecitorio a vedere se trovavano orecchie più attente alla commissione Affari sociali. Qualcuna ha con sé album di fotografie e disegni delle creature che hanno perso o rischiano di perdere. Consuelo ha 41 anni, madre single, e una lettera che attesta come sia una eccellente badante di una donna malata di Alzheimer. Salvatore, il suo bambino, ha sette anni ma quando era all’asilo la maestra l’ha bollato come «maniaco sessuale, pericoloso, che fa disegni bruttissimi». Consuelo li ha portati. Rimira quegli alberi, le nuvole, i semafori, le case e i cuori e i camion e i soli e proprio non capisce cosa ci sia di anormale. Racconta di Salvatore che tornava da scuola con i lividi e delle maestre che dicevano che era bugiardo a dire che lo picchiavano. «Si butta per terra, è aggressivo, è un bambino bugiardo». Ma Consuelo non se la beve. L’assistente sociale rivolta la frittata e dice che sarebbe la madre a maltrattarlo. Così dal 22 aprile, Salvatore è affidato a una comunità ma è felice solo quando può vedere la madre. A scuola non ha imparato granché ma forse ce lo portano tardi e lo tengono separato. Il suo diario è come nuovo. I rapporti dei servizi sociali dicono che non collabora e insinuano abusi sessuali. Mica è facile raccontare una storia del genere. A chi piacerebbe dire che il suo uomo è un violento? A Elena sembrava fosse andata discretamente con quell’affido condiviso ottenuto tre anni fa. Suo marito era troppo violento, una volta le ha rotto il setto nasale, un’altra le ha puntato la pistola in faccia. Sono stati sposati sei anni, a Imperia. Lui è un impresario edile tra la l’imperiese e Montecarlo. Ma questo non gli ha impedito di reclamare all’ex moglie 600 euro al mese per il mantenimento del figlio. L’ha sempre minacciata di soffiarle il bambino quando avrebbe iniziato le scuole e così è stato. Quando Claudio ha compiuto sei anni una psicologa l’ha affidato ai servizi sociali e collocato nella casa del nonno, dove sta il padre. Lei lavora a Marassi in una lavanderia, lo riesce a vedere un paio di volte al mese. Claudio sta male a Imperia, è sempre vissuto a Genova e forse suo padre lo picchia. Così dice il bambino all’assistente sociale. E se fosse vero c’è il rischio che venga dato in adozione. Allora poi una ci diventa davvero matta. Laura , 28 anni, per dire, non vede la sua Chiara da più di due anni, da quando aveva otto mesi. Gliel’hanno presa quando ne aveva due perché una perizia diceva che non era idonea ma immatura. Con suo marito hanno deciso di ricorrere in appello. Ci sarà a settembre ma intanto hanno perso le tracce della creatura. Guarda il cronista e chiede: «Lei che ne pensa?».
Chissà cos’è accaduto quattro anni fa tra Marta , 30 anni da 9 ad Alessandria, e quella «ricca signora di Bordighera» in casa della quale era badante il suo ex marito. Oppure chissà cosa è accaduto tra l’uomo e la ricca donna. Perché Marta racconta un accanimento fuori dal comune che l’ha portata a ricevere una denuncia per maltrattamento di minore con tanto di carabinieri e assistenti sociali a piombarle in casa per portarle via Maria, che ora ha dieci anni. «Eravamo sereni!», giura. Per sette mesi non l’ha vista e la bimba è come se non la riconoscesse. All’inizio della primavera, suo padre l’ha portata in Ecuador per sottrarre a Marta la patria potestà. Lei l’ha denunciato per rapimento e dice di non aver mai incontrato qualcuno che l’aiutasse.
Marta, Laura, Elena, Consuelo e Marisol sembrano la punta di un iceberg. Come loro, solo in Liguria, ci sarebbero centinaia di madri terrorizzate, confuse, senza nemmeno le parole per dire il dolore. A marzo, una come loro, s’è barricata con 5 figli nel consolato ecuadoriano di Genova. La loro è la comunità migrante più numerosa all’ombra della Lanterna. «L’obiettivo è quello di impiantare una vertenza, un tavolo col ministero per chiarire queste storie di discriminazione e indifferenza istituzionali», spiega a Liberazione Edgar Galiano, segretario del Comitato Immigrati che accompagna tra Via Arenula e Montecitorio l’invisibile corteo di donne.