Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  luglio 28 Martedì calendario

GLI ABUSI DELLA STORIA


Nel suo libro Usi e abusi della storia la storica Margaret Macmillan racconta l’aneddoto di due americani che discutono dell’11 settembre. Uno fa un paragone con Pearl Harbor, l’attacco giapponese agli Stati Uniti nel 1941. Il suo amico non ha idea di che cosa si tratti. E l’altro gli dà questa spiegazione.
Gli dice: «Sai, quando i vietnamiti bombardarono la flotta americana e scatenarono la guerra del Vietnam». La memoria storica non è sempre così lacunosa. Ma la politica internazionale e la diplomazia sono costellate di esempi di precedenti citati inopportunamente per giustificare decisioni in politica estera, che ogni volta hanno portato alla catastrofe.
Monaco 1938 - il vertice tra Adolf Hitler, Edouard Daladier, Neville Chamberlain e Benito Mussolini - è un testimone invitato spesso a corte dai politici che cercano argomentazioni per avventure all’estero. La disastrosa invasione dell’Egitto da parte della Gran Bretagna nel 1956 venne giustificata accostando Gamal Nasser ai dittatori degli Anni Trenta. Se si fosse applicato l’appeasement a lui come a loro, il risultato sarebbe stato catastrofico per il Medio Oriente. Monaco fu usato come giustificazione anche dal presidente Bush per la guerra in Iraq, come lo era per il Vietnam.
Ma le analogie non sono sempre sbagliate, e quelle che lo erano in passato si possono rivelare corrette ora. Uno degli argomenti per la guerra in Vietnam era l’effetto domino. Se il Vietnam del Sud fosse caduto nelle mani dei comunisti, altri Paesi del Sud-Est asiatico avrebbero fatto la stessa fine, uno dopo l’altro. Le cose sono andate diversamente. Il Vietnam si è dimostrato essere l’ultimo, non il primo della serie. L’infame regime di Pol Pot trucidò milioni di persone finché non intervenne lo stesso Vietnam. Nel resto della regione il capitalismo, promuovendo l’apertura dei mercati, innescò lo sviluppo e promosse la stabilità. La globalizzazione produsse il suo effetto domino. Il Pil crebbe, milioni vennero strappati alla povertà, i tassi di analfabetismo e di mortalità infantile crollarono. Oggi gli effetti domino sono persino più importanti di allora. In America e in Europa in questo momento molte persone chiedono il ritiro dall’Afghanistan. Dicono che la Nato e l’Occidente non possono costruire una nazione laggiù e che gli obbiettivi stabiliti, democrazia e prosperità, sono irraggiungibili. I soldati della Nato muoiono invano. Prima o poi i taleban si prenderanno di nuovo il potere, con la licenza, come è già accaduto, di gettare acido in faccia alle donne. Ed è inutile pensare di poterlo impedire. Meglio fare armi e bagagli che stare lì e morire. E perché mai il risultato dovrebbe essere quello di imbaldanzire i taleban? Non hanno necessariamente gli stessi obbiettivi di Al Qaeda.
In Afghanistan sono stati certamente fatti molti errori. Dopo il rovesciamento del regime dei taleban, l’Occidente non ha impegnato abbastanza soldati per estendere l’autorità del governo di Kabul sull’intero Paese. L’amministrazione Bush ha distolto l’attenzione, per preparare la guerra in Iraq. Lo sviluppo è stato lento. La ricostruzione dell’esercito e della polizia si è trascinata senza costrutto. I raccolti di oppio si sono moltiplicati. A volte la risposta militare agli insorti è stata troppo dura, a volte troppo morbida. L’Occidente ha corteggiato personaggi ambigui nel tentativo di isolare i pashtun.
Perciò l’Occidente può far di meglio. Non c’è dubbio. Ma l’idea di abbandonare l’Afghanistan è cattiva, sia per l’Afghanistan che per il Pakistan. Lasciare l’Afghanistan nelle mani dei taleban, sperando contro ogni ragionevole speranza che diventino cittadini per bene del mondo globalizzato? E che effetti dobbiamo aspettarci sul Pakistan? E qui arriva il domino, sbagliato in Vietnam ma non necessariamente nell’Asia meridionale.
L’Afghanistan è la grande prova per la Nato. L’Alleanza ha promesso di portare a termine il lavoro. Se lo abbandona adesso, lasciando al Paese povertà, ignoranza, pregiudizi, e papaveri da oppio, che cosa accadrà? Perché qualcuno dovrebbe credere in Pakistan che l’Occidente è serio quando parla di sostenere il Paese come Stato musulmano e democratico? Una decisione del genere servirebbe a far girare la marea contro i taleban? Incoraggerebbe la classe media pachistana, i lavoratori delle città, disgustati dagli eccessi degli estremisti, a trincerarsi e resistere al fondamentalismo? Rafforzerebbe gli elementi moderati nella classe politica e tra i militari? Potete contare su di noi, sarebbe il messaggio dell’Occidente, ma non guardate oltre la soglia dell’Afghanistan, dove vedrete che non potete contare su di noi.
Se il Pakistan, testate atomiche comprese, dovesse cadere in mano agli estremisti, le conseguenze in termini di esportazione del terrorismo sarebbero terrificanti. Basti pensare al Kashmir. All’India. Come vedrebbe l’India il futuro, se il Pakistan dovesse cadere in mano agli estremisti?
Insomma, l’Occidente deve portare in fondo il suo lavoro in Afghanistan. Farlo meglio, ma farlo. O i pezzi del domino cominceranno a rovesciarsi, uno alla volta. una prospettiva che non farebbe contento nessuno, nell’Asia del Sud.
(*) Politico britannico,
ultimo governatore inglese di Hong Kong
Copyright Project Syndicate, 2009