Giancarlo Dotto, La stampa 27/7/2009, 27 luglio 2009
SONO UN ET ATTERRATO SUL PIANO
Strambo è strambo. Da uno a dieci, otto. Già da questo suo modo di arrivare sul palco svolazzando e sbattendo le ali come l’ape Maya, t-shirt nera, jeans e scarpe da ginnastica, testone cotonato, tra Battisti, Hendrix e Cristicchi, quella che regala i fiori. Così imbranato da scatenare all’istante il dubbio che è poi alla base del suo irresistibile glamour: «è vero o virtuale», da cui discende il più prosaico «c’è o ci fa». Il fatto è che quel cartoon barcollante e un po’ lezioso, emozionato e ispirato a tempo pieno, non è uscito da un fumetto Manga, non è lì per sbrodolare in playback l’ultimo successo pop e non è nemmeno l’ultimo vincitore di «Amici», bensì un compositore di musica classica che vende decine di migliaia di copie dei suoi album e i cui concerti fanno sold out in tutto il mondo.
Siamo a Napoli, piazza del Plebiscito, dove si danno convegno da sempre i neomelodici, i figliocci di Nino D’Angelo, per rimediare un matrimonio o una serata. Giovanni Allevi è al quarto bis di solo piano e le ragazzine sono ancora lì a bordo palco, a decine, neanche fosse Vasco Rossi, che sbavano per il loro idolo, un incrocio tra un guru e un peluche. Se non è idolatria poco ci manca. Uno spartito di squittii e mugolii per questo ragazzo quarantenne che sparge baci, incassa fiori e firma autografi, schizzando ogni volta su carta il suo alter ego, un pupazzetto allucinato, appoggiandosi qua e la al Bosendorfer, il pianoforte feticcio, come ad ancorarsi. Un’ora e mezzo di concerto, lui, il piano e le sue storielle minimaliste, delle sue notti ad Harlem e della sua monocamera a Milano. Da laureato in filosofia, piazza impavido pure una citazione da Heidegger, dimostrando che non solo la musica classica ma anche l’ontologia più ostica può diventare pop.
Di che umore ci si sveglia dopo un concerto trionfale?
«Sono in paradiso. Ieri è stato il concerto più sconvolgente della mia vita. Riuscire a catturare l’attenzione di undicimila persone attraverso il suono di un pianoforte… Non credo ci siano precedenti… L’ho vissuta come la sfida di un gladiatore».
Colazione in camera e giornali?
«Non faccio mai colazione in camera. Cerco sempre di stare in mezzo alla gente. il mio modo per rubare a questa felicità più secondi possibili. Non perdermi una sola delle persone che mi avvicinano, quasi fossi un eroe moderno».
Che colazione si concede un eroe moderno?
«Mi sono concesso come premio la Nutella. Mangio sempre una fetta di torta al cioccolato, ma solo prima dei concerti. Per il resto, cerco di evitare. Ho paura di ingrassare. Probabilmente sono diventato un compositore mediatico e temo di non uscire bene in qualche foto o video rubato…Credo sia umano».
Tra pochi giorni dirigerà all’Arena di Verona un’orchestra formata dai migliori musicisti del mondo. Un caso di megalomania?
«Una simpatica megalomania. La mia megalomania visionaria si sposerà, già lo so, con la follia collettiva della gente. Chiamarlo affetto non basta».
Come se la spiega questa follia?
«Non me la spiego. Mi piace ripetermi che si tratta di un mistero. Il mio incubo è che possa finire da un giorno all’altro».
«La fragilità è la mia forza» ha detto anche ieri scatenando l’ovazione dei fan.
«Questa frase ha fatto irruzione nei blog del mondo giovanile. Una testimonianza liberatoria in una società ipercompetitiva come la nostra. Il manifesto di un nuovo modo di stare al mondo».
La spontaneità spesso diventa un marchio e dunque uno stereotipo industriale.
«Oscar Wilde diceva che la società degrada i classici mettendoli in bacheca, costringendo la società ad adorarli come delle autorità indiscusse».
C’è un modo opposto per degradare i classici, renderli troppo accessibili.
«Io cerco solo di sdrammatizzarmi in tutti i modi. Evito la vita mondana, a Milano giro i mezzi, prendo la metro solo per stare con la gente. Vado fiero della mia scassatissima Panda ad Ascoli Piceno. La sola cosa che m’interessa non è il culto della mia personalità, ma la composizione musicale. Sorprendere ogni volta il pubblico».
Due minuti fa ha detto che il suo incubo è quello di perdere i fan.
«Si, ma solo perché loro mi danno la possibilità di essere libero. Grazie a loro posso andare a Sanremo e suonare al piano ”Karate”, un mio brano dodecafonico. Grazie a loro mi sento libero di puntare sempre al più difficile».
Il contrario di quello che dicono i suoi detrattori: Allevi è solo una molto astuta operazione di marketing.
«Devono costruire un cliché negativo qualunque cosa io faccia. Rispondo che a me interessa solo il mio rapporto con i fan. I detrattori non sono per me il minimo motivo di turbamento».
Uto Ughi ci è andato giù pesante. «Allevi? Un nano… risibile come compositore. Meglio di lui anche Zucchero».
«Non credo abbia mai ascoltato un mio concerto. Quello di Ughi l’ho vissuto come un gesto violento di fronte a tanti anni di studio e di sacrifici».
Come se lo spiega?
«Mi è bastato andare a rileggere che cosa dissero di Puccini, le critiche feroci a una sinfonia di Mozart, le stesse che rivolsero a Giuseppe Verdi. Tutti grandi compositori che hanno toccato il cuore della gente. C’è un mondo accademico che vive come un’offesa personale il fatto che la musica colta possa diventare popolare senza passare attraverso loro».
Si sente il bersaglio scelto di certa élite?
«C’è il rischio che questa polemica mi faccia entrare nella storia a pieno titolo. Nei panni di Ughi sarei stato più cauto. Non conoscendomi, non sapeva dell’enorme seguito che ho soprattutto da parte del pubblico giovane…Se mi hanno ferito? Da un punto di vista psicoanalitico ho superato tutto ed è molto bello perché adesso non mi ferma più nessuno».
Ha detto: «Il giorno in cui mi vedrete collaborare con un altro musicista, significherà che non avrò più niente da dire». A proposito di megalomania.
«Penso a grandi artisti come Puccini o Keith Jarrett. Di loro ho sempre una percezione univoca e monolitica. Non credo che Wagner abbia avuto bisogno di collaborare con altri per dare forza a ciò che faceva. Sono cresciuto con il mito che l’artista non ha bisogno di altro che della sua arte».
Quanto funziona il personaggio e quanto la musica in questo feeling di massa?
«Io non posso prescindere dalla mia fisicità, dai miei capelli ricci e dal mio sorriso. Ho scelto di essere tutt’uno con la mia musica, di portare sul palco la mia vita».
come se il personaggio eccedesse la musica. A prescindere da quello che suona, forse nonostante quello che suona.
«Mi ostino a non vedere separate le due cose. Vorrei però lasciare alla musica buona parte del primato. Se facessi una musica che non tocca le corde profonde, tutto questo non si reggerebbe in piedi».
C’è la forte tendenza da parte dei giovani a riconoscerle uno status da guru.
«Mi è stato conferito un premio dal ministro Frattini. Su un campione di ottocentomila giovani, Giovanni Allevi è risultato il riferimento delle nuove generazioni… Stiamo parlando di un compositore di musica classica».
Lei è nato nel ”69, negli anni in cui gli artisti si sentivano obbligati al messaggio.
«Il messaggio è la mia storia. Qualcosa che ricorda l’esempio di Rita Levi di Montalcini. Il mio successo aiuta i ragazzi a pensare che, se si persegue il proprio desiderio, i sogni si realizzano. Studiando da matti, come ho fatto io. Senza l’illusione delle facili scorciatoie, solo perché una telecamera ti si è accesa davanti».
Stagione di grandi concerti in Italia: U2, Springsteen, Pino Daniele, Baglioni.
«Mi affascina la genialità di Claudio Baglioni, delle sue melodie. Però, rispetto a tutti loro, mi ritengo un extraterrestre. Sembra che sto riuscendo a ottenere gli stessi risultati, usando però un pianoforte solo e un’orchestra sinfonica».
Dopo anni di stenti, oggi è un uomo ricco.
«Il mio disinteresse per il denaro è totale. E poi non sono ricco. Ho un contratto con il mondo discografico da esordiente. Non dimentichiamo la pirateria. Aggiungiamoci gli imprevisti. L’organizzatore dell’ultimo concerto è scappato con l’incasso. Poco prima di scappare, però mi ha abbracciato con le lacrime agli occhi, ringraziandomi».
Che rapporti ha con colleghi di successo come Einaudi, Bollani?
«Apprezzo quello che fanno. Mi dispiace che Bollani si sia unito alla schiera dei detrattori… Che gioia misera quella di un artista che parla male di un altro. Gli artisti devono pensare a fare gli artisti».
Che posto ha la pulsione sessuale nella vita di un musicista invaso a tempo pieno dalla musica?
«Ieri riflettevo che per affrontare una platea così grande io comunque mi dovessi trasformare in un animale. Era l’unico modo per farcela, diventare istinto puro. Il solo pensiero di affrontare undici mila persone sarebbe stato paralizzante».
C’è l’animale anche nella folla.
«Scatta alla fine questo abbraccio sensuale, dove io sento proprio i fan che vogliono toccarmi le mani, baciarle, strapparmi i capelli per metterli in cornice. Considero questo l’erotismo, una fusione di sguardi e di intenti».
Ascolta l’iPod?
«Mi piace accendere il mio i-pod mental. Faccio suonare la musica nella testa. Decido per il terzo movimento della ”nona” di Beethoven e, tac, mi parte. Tre anni fa, quando fui preso da un attacco di panico, sull’ambulanza mi sono fatto avvolgere da una melodia dolcissima».
Ha assicurato le sue mani?
«Ancora no. Ho fatto telefonare a un’importante agenzia assicurativa di Londra ma loro, che mi conoscevano di fama, hanno risposto che, in realtà, bisognerebbe assicurarmi il cervello».