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 2009  luglio 28 Martedì calendario

Merce, la rivoluzione di un angelo zen- Addio a Cunningham, l’ultimo grande della danza Aveva appena fatto testamento

Merce, la rivoluzione di un angelo zen- Addio a Cunningham, l’ultimo grande della danza Aveva appena fatto testamento. Stabilito quanto sarebbe durata ancora la sua compagnia e il destino della Fondazione che porta il suo nome. Per quanti anni i suoi ballerini e i suoi tecnici avrebbero ancora ricevuto lo stipendio. L’esatto contrario degli altri grandi della danza (Martha Graham, Maurice Béjart, Pina Bausch) che se ne sono andati in un clima da «après moi le déluge». Ma lui era l’esatto contrario di tutti gli altri. Perché Merce Cunningham, nato il 16 aprile del 1919 e morto per cause naturali l’altra notte a New York nella sua abitazione, dunque a 90 anni, era un rivoluzionario geniale, un angelo zen. L’anti Re Sole per eccellenza. Del resto, proprio lui aveva ribaltato la prospettiva tradizionale, viva dai tempi del Re Sole appunto, che vedeva il centro della scena fulcro dello spettacolo. Aveva abolito drasticamente il rapporto di dipendenza fra danza e musica, esaltato la casualità del succedersi dei brani in una serata (i suoi mitici «Events» dove l’ordine dei brani viene stabilito dal gioco degli «I Chi»), inaugurato un modo di danzare unisex, aperto le porte all’astrazione totale. Negli ultimi anni di vita era costretto a muoversi su una carrozzella e quindi realizzava i suoi balletti al computer con «Life Forms» un programma che gli permetteva di creare sul video i passi che poi insegnava ai danzatori in carne e ossa. Ma per l’ultimissimo brano, Nearly ninety, andato in scena a New York per celebrare i suoi 90 anni e atteso la prossima stagione al Théatre de la Ville di Parigi, era tornato a coreografare sui corpi reali. Il cammino artistico di Cunningham incomincia a metà Novecento, nel ”53, quando, insieme ai suoi sodali, il musicista John Cage, compagno di vita, e il pittore Robert Rauschenberg, realizza il suo primo spettacolo al Black Mountain College e si candida così alla carica di padre fondatore della danza contemporanea americana. Spianando la strada a quella generazione di coreografi sessantottini (Trisha Brown, Lucinda Childs, Steve Paxton e compagni) definiti poi postmodern perché venivano dopo la lunga stagione della modern dance nella quale avevano regnato sovrane Martha Graham, Doris Humphrey e Agnes de Mille. In 56 anni di vita artistica il suo stile ha subito diverse mutazioni secondo i periodi, toccando, per esempio con Beach Birds, quasi la rappresentazione della realtà. Nella sua poetica rivoluzionaria musica, danza e scenografia vivono di vita autonoma. Per questo ha collaborato con tutti i grandi dell’arte contemporanea americana: Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Frank Stella, Andy Warhol, Nam June Paik. Come si vedeva nel 2000 nella bella mostra a lui intitolata al Castello di Rivoli. Quello che però col tempo Cunningham aveva lasciato da parte è la vena ironica dei primi brani degli Anni Cinquanta, il gusto per prendere in giro le signore della modern dance come Graham. Perché di Martha, Merce Cunningham era stato un applaudito ballerino e aveva preso parte alla creazione di brani «storici» come Letter to the world o Appalachian Spring. Questo gusto per il divertimento una volta uscito dalla sua arte era rimasto nella sua vita privata. Come ricordavano i suoi amici parigini: «Merce prima di approdare alla cucina macrobiotica amava la buona tavola ed è stato un nightclubber scatenato per anni: passava notti intere a danzare nelle boite dopo gli spettacoli».