Alberto Riva, Il Riformista 28/07/2009, 28 luglio 2009
MAXI-CONDONO IN AMAZONIA
Al centro dell’ultima vivace polemica scoppiata in Brasile sulle sorti della foresta amazzonica c’è un’insospettabile parola: "laranjas", letteralmente, arance. Trattandosi della più importante questione agraria del Brasile recente, l’uso del termine non potrebbe essere più appropriato. Ma le arance in questione non c’entrano nulla con gli agrumi rotondi e succosi che tutti conosciamo. Nel portoghese brasiliano della strada, che poi è la lingua preferita dai giornali, l’"arancia" è la "testa di legno", colui che fa il lavoro sporco al posto di un altro. Sembra quasi uno scherzo, ma la questione delle "arance" è uno dei punti più controversi della storica legge sulla proprietà terriera in Amazzonia che il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha sanzionato lo scorso 25 giugno al termine di una lunga e tesa battaglia politica.
Prima di arrivare alle arance, però, facciamo un passo indietro. Il testo approvato, per essere precisi, la medida provisoria MP 458, è un decreto legge che mira a regolarizzare la proprietà della terra in area amazzonica: vale a dire consegnare un titolo di proprietà a chi è già installato in quelle zone da anni senza un documento. Si tratta in altre parole di un maxi-condono. Che riguarda 67,4 milioni di ettari, una cosa come Italia e Germania messe insieme. Quella della proprietà illegale della terra è una questione brasiliana antica e mai risolta, che coinvolge migliaia di piccoli posseiros, ma anche grandi poteri economici spesso occulti. Prima di giungere nelle mani di Lula, il testo era stato approvato al Senato con una serie di modifiche imposte dal settore "ruralista" della camera alta, i rappresentanti dei grandi interessi agrari guidati dalla senatrice Katia Abreu, appartenente al partito conservatore Dem (ex-Fronte liberale). Tra i più energici leader dell’opposizione, la Abreu ha potuto contare sull’appoggio di una non irrilevante fetta della maggioranza, tra cui alcuni ministri chiave, a cominciare da quello dell’agricoltura Reinhold Stephanes.
Il testo della legge, nata come esigenza di regolarizzare la proprietà nel far-west amazzonico, una volta passato nelle mani dei "ruralisti" ha subito modifiche rispetto alla versione originale. I punti più controversi erano principalmente tre: la possibilità di condonare fino a 1500 ettari, la possibilità di accedere al condono da parte di persone giuridiche e non solo fisiche (dunque imprese, non solo contadini) e la possibilità di rivendere la terra dopo tre anni e non più dieci. Modifiche che hanno spaccato il governo, scatenato le proteste degli ambientalisti e anche di parte dell’opposizione. Lo scontro più duro si è avuto tra il ministro dell’ambiente Carlos Minc e Katia Abreu, la quale è anche presidente della Confederazione Nazionale dell’Agricoltura (Cna). Posizione non trascurabile, in un Paese che è il primo produttore mondiale di canna da zucchero, il secondo di soia e il primo esportatore al mondo di carne. La carne e la soia (che diventa carne pure lei, in forma di cibo per i buoi), sono le due principali minacce alla foresta amazzonica. Secondo un rapporto diffuso all’inizio di giugno da Greenpeace, la produzione di carne provoca il 14% della deforestazione dell’Amazzonia. Attualmente, l’80% dell’area disboscata è occupata da animali. Secondo la Ong, ogni 18 secondi un ettaro di foresta è convertito in pascolo. L’abbattimento di capi in Brasile è un business da 6, 9 miliardi di dollari all’anno. Tra il 1998 e il 2008 l’esportazione di carne brasiliana è cresciuta del 600%. Insieme alla Cina, il Brasile è il principale produttore planetario di pelle e derivati. Le tonnellate di scarpe che escono dalle fabbriche cinesi vengono, in buona parte, da animali brasiliani. Gli interessi in gioco, come è facile dedurre, non sono pochi.
Il presidente Lula si è trovato al centro di pressioni provenienti da tutti i lati. Il ministro dell’ambiente Carlos Minc, che in un eccesso di veemenza ha dato dei "filibustieri" alla lobby degli agricoltori, è stato richiamato all’ordine dallo stesso Lula, al quale spettava la firma del decreto con eventuali "veti" agli articoli controversi. Veti che sono arrivati, ma solo in parte: Lula ha dato il via libera alla legge, però ha detto no all’articolo 7, quello che riguarda la concessione della terra alle persone giuridiche. Una questione tanto spinosa che l’intervento del presidente non ha accontentato nessuno. Né gli ambientalisti che hanno giudicato «insufficiente» il veto, né i promotori: tanto che per il deputato "ruralista" Asdrubal Bentes del Pmdb (Partito del Movimento Democratico, alleato di governo) relatore della legge alla Camera, «ora le aziende tireranno fuori le arance», alludendo in sostanza a un futuro in cui in Amazzonia le teste di legno spunteranno come funghi. Nelle settimane precedenti all’approvvazione del testo, 37 pubblici ministeri che attuano nelle aree amazzoniche avevano avvisato su alcuni elementi d’incostituzionalità della legge che, a loro avviso, mette a rischio popolazioni indigene e "quilombolas" (i discendenti degli schiavi) e che, con la riduzione a tre anni quale termine per poter rivendere, «apre la possibilità a speculazioni ora protette dalla legge».
Da sempre la piaga di queste terre si chiama "grillagem", vale a dire l’appropriazione indebita della terra basata su una catena di delitti: dall’espropriazione fatta con la violenza alla registrazione di attestati di proprietà falsi. Nel 1988, il seringueiro (estrattore di caucciù) Chico Mendes fu giustiziato proprio perché si opponeva ai grilleiros. Chi, come la gran parte delle Ong brasiliane e il ministero dell’ambiente, ha visto nella MP 458 la legalizzazione di quegli illeciti, l’ha immediatamente ribattezzata «legge della grillagem». Il governo non la pensa così. Nelle intenzioni di Lula la legge «può mettere fine alla violenza che domina da sempre quelle terre».
Ma cosa dice la legge? Chi, fino al 2004, si è installato su terreni al di sotto dei 100 ettari riceverà la terra gratis. Quelli che hanno occupato aree fino a 400 ettari pagheranno un prezzo simbolico. Le medie proprietà, fino a 1500, saranno cedute secondo una tabella statale. Mentre chi, negli anni, ha occupato latifondi, comprerà a prezzo di mercato. In tutti i casi, secondo la legge "Amazzonia legale" già in vigore, i nuovi proprietari dovranno preservare l’80% della terra e disboscare il rimanente. Per il futuro, tuttavia, molti interrogativi restano.
«La legge ha diversi strumenti inadeguati. Lascia immutato il modello fondiario che da sempre vige in Brasile. La gente occupa e dopo il governo crea le condizioni di condonare» avverte Paulo Barretto, ricercatore dell’Istituto Imazon. «Varie conquiste si sono perse con un colpo di penna» rincara João Meirelles, direttore dell’Istituto Peabirù, sul sito Amazzonia.org. Fortemente critica resta Marina Silva, che è stata ministro dell’ambiente fin dal primo Lula, nel 2003, e si è dimessa all’inizio del 2008 per "divergenze" con la politica ambientale del governo. Proveniente dallo stato amazzonico dell’Acre, come Chico Mendes, la Silva non è ottimista. In un’intervista pubblicata sul mensile Caros Amigos dice: «Senza le precauzioni necessarie, questa MP favorirà la grillagem. La favorisce se hai più di 100 ettari, perché puoi benissimo usare una "arancia" quando hai 400 ettari. La legge non avrebbe dovuto riguardare terre più grandi di così e avrebbe beneficiato comunque l’81% dei posseiros, per un totale di 7 milioni di ettari. includendo i grandi possedimenti che arriva a 67 milioni di ettari. In nome dei piccoli, si favoriscono i grandi». (1-continua)