Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 28/7/2009, 28 luglio 2009
KASPAROV, LA PASSIONE PER L´ERRORE
Il giocatore che ha battuto tutti i record racconta quanto di matematico c´è nelle sue partite. Come può sconfiggere un computer. E come affronta Putin e Medvedev
"Dopo quello che il leader russo ha fatto, chiunque può considerarsi più preparato di lui"
"Il segreto del successo sta dentro di noi. Dobbiamo identificare la nostra debolezza"
Per quindici anni, dal 1985 al 2000, gli scacchi dell´era della globalizzazione sono stati dominati dal multietnico Garry Kasparov, un sovietico azero di madre armena e padre ebreo, che ha battuto tutti i record: dalla minima età per un campione mondiale (22 anni), al massimo punteggio Elo (2851, contro i 2785 di Fischer). A un certo punto Kasparov ha sentito il bisogno di passare ad avversari non umani, diventando il protagonista di alcune mediatiche disfide col calcolatore, fino alle prime epocali sconfitte di un campione del mondo da parte di una macchina (in una partita nel 1996, e in un torneo nel 1997). Ritiratosi dalle competizioni nel 2005, lo scacchista sta giocando una partita diversa nel gioco della politica, come leader del Fronte Civile Unito e presidente della coalizione Altra Russia, opponendosi al regime di Putin e Medvedev e combattendo per i diritti civili: un impegno che gli è già costato un arresto nel 2007.
Per cominciare in maniera indolore, qual è il segreto del successo?
Il segreto del successo sta dentro di noi. Dobbiamo capire chi siamo e identificare i nostri punti di forza e di debolezza, arrivando a sapere tutto di noi stessi. Non possiamo essere timidi con le nostre debolezze: dobbiamo analizzarci e rinnovarci continuamente, in una perenne sfida contro noi stessi.
Per raggiungere la perfezione?
La perfezione non esiste. Aver avuto successo non significa che siamo riusciti a fare tutto perfettamente, ma solo che è stato il nostro avversario a fare l´ultimo errore. Per questo bisogna sempre tornare indietro, per scoprire i probabili errori che abbiamo fatto ed evitare di ripeterli. E per scoprirli prima dell´avversario, che sicuramente li sta cercando anche lui. Errori se ne fanno di continuo.
Ma lei, dunque, non ha mai giocato una partita perfetta?
No, se non altro perché negli scacchi si gioca in due: in una partita perfetta, anche l´avversario dovrebbe essere all´altezza della situazione! Alla perfezione si può tendere, però, e lottare per avvicinarvisi è il compito di ogni giocatore, per non dire di ogni uomo.
E lei, quando vi si è avvicinato maggiormente?
In una partita del 1999, contro Veselin Topalov. A un certo punto riuscii a vedere una splendida posizione finale, con un anticipo di ben quindici mosse! Avrei potuto vincere prima, volendo, ma ho preferito continuare la partita fino a realizzare quella posizione: per una volta l´ideale della bellezza ha avuto la meglio sulla pratica dell´efficienza.
Visto che siamo arrivati agli scacchi, un background scientifico, come quello del matematico Lasker o dell´ingegnere Botvinnik, è sufficiente a classificare il loro gioco?
No. Botvinnik certamente giocava come un ingegnere. Ma Lasker non giocava come un matematico: non solo aveva un forte intuito specifico, ma credeva anche che le mosse avessero un valore relativo e non assoluto.
Da che cosa è determinato, allora, il tipo di gioco?
Gli scacchi sono sempre stati un riflesso della cultura e della scienza dominanti nella loro epoca. Prendiamo Steinitz, ad esempio, che fu il fondatore della scuola posizionale: la sua idea, che tutto potesse essere ordinato strutturalmente in maniera oggettiva, era semplicemente il pensiero della fisica di fine Ottocento, che credeva ancora che tutto fosse controllabile. Poi venne Lasker, che al contrario di Steiniz credeva che gli scacchi fossero una lotta soggettiva, nella quale bisognava solo fare la miglior mossa possibile contro l´avversario: lui era il riflesso di Einstein e Freud, di un pensiero in cui tutto è relativo e psicologico.
Anche in Karpov e lei, che tra l´altro giocherete di nuovo presto insieme?
Certo. Karpov, che è un tipico conformista, visse in un periodo in cui l´Occidente era in ritirata, e divenne il simbolo della cinica accettazione dell´avanzamento comunista. Io invece, che sono un ribelle e un rivoluzionario, ho vinto il titolo in tempi di grandi cambiamenti.
Nel ciclismo c´è stata una disputa tra i sostenitori di Coppi e Merckx, su chi era «il più grande» e chi «il più forte». Lei come definirebbe Fischer e se stesso?
Sono riluttante a rispondere a questa domanda. Lei come risponderebbe, se le chiedessi la stessa cosa su Newton e Einstein? difficile paragonare persone che appartengono a epoche diverse. Oggi qualunque studente sa più cose di fisica di Newton, così come qualunque grande maestro sa più cose del Fischer di trent´anni fa, ma questo cosa vuol dire?
Io volevo che facesse una distinzione tra forza e grandezza.
Negli scacchi l´unica qualità che conta è il divario tra un giocatore e gli altri. Quello tra Fischer e il resto del mondo è stato probabilmente il più grande della storia, ma è durato solo un paio d´anni, mentre io ne avuto uno magari un po´ minore, ma molto più lungo.
Questa lunghezza del suo dominio è stato uno dei motivi per cui, a un certo punto, ha iniziato a giocare coi computer?
L´ho fatto perché credevo che fosse importante per il progresso del gioco. Per me è stato un grande esperimento sociale, culturale e scientifico del ventesimo secolo, un tentativo di vedere come si paragonano la forza bruta del calcolo e l´intuizione umana.
Si paragonano talmente bene, che quando il computer l´ha battuta lei l´ha accusato di essere stato aiutato dall´uomo...
Oh, Deep Blue ha certamente ricevuto assistenza umana nella seconda partita del match del 1997, e probabilmente anche nella quinta! E ciò che dico io non è alla stessa stregua di ciò che dicono loro: dapprima il team di Deep Blue ha rifiutato di mostrare gli elaborati del computer, e poi ha distrutto il computer.
Il programma, vuol dire?
Deep Blue non era un programma! Era un insieme di processori paralleli, ciascuno dei quali aveva un suo programma e poteva analizzare un milione e mezzo di posizioni al secondo: c´era un albero di 256 processori, con un comando centrale. E da ciò che si deduce dalle informazioni molto limitate che sono state fornite, erano riusciti a ottimizzare la potenza in modo da analizzare duecento milioni di posizioni al secondo. Ma non sappiamo come la macchina giocava, perché non ne abbiamo mai visto il meccanismo decisionale.
Sicuramente non era però qualcosa nello stile di Botvinnik, di emulazione del pensiero umano.
A me va benissimo che l´Intelligenza Artificiale si limiti a simulare i risultati, senza emulare i processi cerebrali. Se, di fronte a una mossa da fare, io passo il 99 per cento del mio tempo a pensare e l´1 per cento a calcolare, mentre la macchina fa il contrario, ma arriva allo stesso risultato, si tratta in entrambi i casi di intelligenza. Il modo è irrilevante: quello che conta è il risultato.
Cos´è successo dopo Deep Blue?
Le macchine sono cambiate, e stanno cessando di essere completamente materialistiche e deterministiche: ora manifestano elementi di incertezza, e arrivano a sacrificare dei pezzi pur di ottenere deboli compensazioni. Incominciano a lasciar intravedere elementi umani, prendendo decisioni diverse da quelle stabilite dalla loro tavola di valutazione.
E arriveranno a manifestare differenze di personalità?
Lo fanno già. Se lei mi mostra cinque o sei partite giocate dai migliori programmi in funzione oggi, molto probabilmente le saprei dire quale di loro ha giocato.
D´altronde, i programmi non fanno che riflettere le mentalità dei programmatori.
Certo, dietro la macchina si riesce sempre a vedere l´uomo. Ed è sorprendente che oggi i programmi esibiscano differenze a volte più marcate di quelle fra giocatori umani.
Ora che si è messo a giocare un gioco diverso, la politica, le mancano gli scacchi?
Io non guardo indietro. Sono solo quattro anni che ho lasciato le competizioni, ma quel mondo mi sembra ormai molto lontano.
Crede che l´aver giocato a scacchi serva a governare la Russia?
Guardi, dopo quello che Putin ci ha fatto vedere nei suoi otto anni, credo che chiunque possa dire di essere più preparato di lui.
Oltre che in politica, lei è un ribelle anche in campo religioso?
Non sono stato educato religiosamente, ma direi di essere autonomamente diventato cristiano, in qualche senso. Naturalmente sono sempre stato molto a disagio con le strutture confessionali, che si inseriscono fra un individuo e il potere supremo: in particolare con la Chiesa Ortodossa, che in Russia è la più rigida di queste strutture. Non mi piacciono le regole stabilite dagli uomini.