Marco Masciaga, ཿIl Sole-24 Ore 28/7/2009;, 28 luglio 2009
EMERGENZA ACQUA PULITA A DELHI
Le giornate di Veena, una donna di 51 anni che vive a Indra Camp, uno slum nel sud di Delhi, iniziano alle 5 di mattina. intorno a quell’ora che dai 22 rubinetti pubblici di questo quartiere di 550 famiglie iniziaa sgorgare,per un paio d’ore,l’acqua con cui lei e la sua famiglia si lavano, si dissetano e, non di rado, si ammalano.
Veena e le centinaia di donne le cui giornate sono scandite dai capricci dell’acquedotto di Delhi non sono sempre così fortunate. Ci sono giorni, è vero, in cui l’acqua scorre anche tra le 5 e le 7 di sera. Ma può anche capi-tare, è successo non più di una settimana fa, che i rubinetti pubblici rimangano asciutti per 48 o 72 ore consecutive. Oppure che l’acqua abbia un colore così simile a quella dei canali di scolo che passano lì accanto, che nessuno abbia il coraggio di berla. E allora, con un gesto vecchio di secoli, Veena e le sue compagne si mettono in cammino verso i quartieri limitrofi. In mano hanno qualunque cosa possa rendersi utile: bottiglie di detersivo, taniche per la benzina, secchi per la vernice.
Il dramma quotidiano vissuto dagli abitanti di Indra Camp è meno raro di quanto possano suggerire le trasformazioni in corso in questa città di 16 milioni di abitanti che si sta dotando di nuovi aeroporti, nuove linee della metropolitana e nuovi imponenti ponti e sottopassi. Se alcuni progetti infrastrutturali, specialmente quelli legati ai Commonwealth Games del prossimo anno, procedono a ritmi ragionevoli, la rete idrica arranca: le perdite restano enormi e le contaminazioni tra acque potabili e reflue rimangono frequenti. Il governo ha anche accusato il Delhi Jal Board, l’organismo che dovrebbe dissetare la capitale, di avere speso in pochi anni l’equivalente di 200 milioni di dollari «con scarsissimo profitto», ma poco o nulla è cambiato. Il risultato è che, secondo il Delhi Human Development Report,un’abitazione su quattro continua a non essere raggiunta dalla rete idrica, che il 27% delle famiglie restanti ha accesso all’acqua per meno di 3 ore al giorno e che un altro 55%, comprese quelle che vivono in alcuni dei quartieri più esclusivi della capitale, per meno di sei.
Una situazione di spaventosa scarsità, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, che nel corso degli anni ha finito per alimentare intere industrie che consentono agli strati più abbienti della popolazione di bypassare i colli di bottiglia della rete distributiva e di svolgere
in-house quelle operazioni di depurazione che le istituzioni pubbliche non sono in grado di garantire.
Un esempio lo fornisce la
Sintex , la società di materie plastiche che domina il fiorente mercato delle taniche d’acqua, gli enormi cilindri neri da centinaia di litri che hanno ridisegnato la skyline della città. Con il crescere del ceto medio, aumenta il numero di indiani in grado di permettersi una casa con almeno un paio di ore di acqua corrente al giorno, una pompa con cui spingerla fin sul tetto e una tanica in cui accumulare tutto ciò che si riesce a "succhiare" all’acquedotto. Forte dei limiti della rete idrica e delle crescenti possibilità economiche della popolazione urbana, la Sintex si è trovata con il prodotto giusto, al momento giusto, nel posto giusto. E lo scorso anno ha visto crescere di un +41% i propri utili.
Ma la partita dell’acqua si gioca anche sul fronte della qualità. Ed è qui che un numero crescentediimprese,sialocali come Eureka Forbes e
Kent Ro che multinazionali come Philips e Whirlpool , si stanno dando battaglia. Secondo le stime di alcuni produttori, in palio ci sono 218 milioni di euro di fatturato annuo, ma secondo un recente rapporto della società di ricerche di mercato Frost & Sullivan, il segmento del trattamento domestico dell’acqua nel 2007 avrebbe già sfiorato quota 240 milioni di euro e sarebbe destinato ad arrivare a quota 600 milioni entro il 2012. «Gli indiani’- spiega l’analistadella società americana Sasidhar Chidanamarri – sono diventati più attenti all’igiene e sono sempre più coscienti che far bollire l’acqua non è sufficiente a dissolvere i sali e i metalli nocivi per la salute».
Ciò che rende ancora più attraente il mercato è il basso livello di penetrazione delle diverse tecnologie. Quelle più sofisticate, basate su raggi ultravioletti e osmosi inversa, non raggiungono che il 2,5% delle abitazioni urbane e un misero 0,8% a livello nazionale.
«Del milione e mezzo di apparecchi venduti ogni anno – spiega Shantanu Das Gupta, vice president per l’Asia del Sud di Whirlpool – due terzi sono a raggi Uv e circa 500mila a osmosi. Questi ultimi, basati sulla tecnologia più sofisticata presente sul mercato, costano mediamente oltre il 50% in più degli altri. Nonostante questo, crediamo che in futuro diventeranno lo standard di riferimento per il mercato di fascia alta. E già oggi crescono del 15% all’anno contro il 10% degli Uv».
Ma il vero boom, per il momento, si sta registrando altrove. Ovvero in quella fascia di mercato, assai più difficile da censire numericamente, che adotta il sistema "a caduta" (o chimico, contenitore a due serbatoi per filtrare l’acqua) e che non necessita né di un rubinetto né di un allacciamento alla corrente elettrica. I costi e i margini sono più contenuti, ma il mercato di riferimento è vastissimo e i tassi di crescita media superiori al 50% all’anno. qui che, almeno sul breve periodo, si gioca la partita che potrebbe cambiare in meglio la vita di Veena, degli abitanti di Indra Camp e di quelle centinaia di milioni di indiani per i quali l’acqua continua a essere una fonte di salvezza più per lo spirito che per il corpo.