Micaela Cappellini, ཿIl Sole-24 Ore 28/7/2009;, 28 luglio 2009
PER LE LITI DA SUKUK MEGLIO I TRIBUNALI INGLESI
Tra Londra e la Sharia, è un amore di quelli tormentati. L’attrazione l’ha raccontatata il Times qualche giorno fa: capita, per le strade della capitale, di imbattersi in chi pensa che i tribunali religiosi musulmani siano una via di fuga dalle lungaggini della giustizia civile di Sua Maestà. E vi ricorre, anche se è battezzato secondo il rito cristiano. Poi c’è l’aspetto della fuga: sui marciapiedi ci si può anche scontrare con chi, per mano delle leggi di Maometto, ha visto crollare i propri investimenti e ora cerca un risarcimento nei corridoi della giustizia tradizionale.
capitato ad esempio a chi nel 2007 aveva sottoscritto il sukuk, cioè il bond islamico, da 650 milioni di dollari emesso dalla conglomerata saudita Saad. L’obbligazione è stata strutturata secondo i canoni della Sharia, che vieta i tassi di interesse e gli investimenti in pornografia, alcol, tabacco e armi. Ma la società ha dato segni di insolvenza secondo i canoni della finanza tradizionale, e ora i suoi creditori devono fare fronte comune e adire agli organi competenti di Londra. Con risultati che sono ancora tutti da vedere: secondo lo studio Simmons and Simmons, per via dell’assenza degli interessi percepiti, i sottoscrittori di bond islamici potrebbero addirittura essere considerati alla stregua di creditori, e non di azionisti.
La giurisprudenza è tutta da farsi. Quel che è certo, è che non tarderà. Perché lo tsunami che si è abbattuto sulla finanza mondiale non ha risparmiato la piccola cittadella islamica, erroneamente considerata immune alle tempeste. Secondo i dati dell’Islamic Finance Information Service, già nel terzo trimestre del 2008 l’emissione di bond islamici era calata a quota 3,21 miliardi di dollari, ben il 59% in meno rispetto agli 11,34 miliardi dello stesso periodo del 2007. La cifra è addirittura inferiore alla raccolta effettuata nel terzo trimestre del 2006: un segnale sconfortante, considerato che quello degli Shariabond è un fenomeno relativamente nuovo, i cui tassi di crescita anno su anno sono elevati come si addice a qualsiasi trend fotografato sul nascere.
Che il fascino dei bond di Maometto si sia appannato, lo testimoniano altri due dati. Il primo è che nel terzo trimestre del 2008 non è stato emesso nemmeno un sukuk in pregiata valuta a stelle e strisce. Il secondo è che non c’è traccia di raccolte obbligazionarie superiori al miliardo di dollari. Anche Standard & Poor’s registra cifre sconfortanti: nel 2008 il mercato dei sukuk è crollato del del 56% rispetto al 2007, e i suoi analisti fissano l’asticella dell’inversione di tendenza a non prima della fine del 2009, meglio se al 2010.
Colpa del tracollo del prezzo del greggio, e della bolla immobiliare, dicono gli esperti. Ma i default come quelli del bond della Saad sono solo la punta dell’iceberg. La mannaia è già caduta, tra gli altri, anche sull’obbligazione da 100 milioni di dollari della Investment Dar del Kuwait, o sull’East Cameron Partners Sukuk, in Texas. I cui creditori sono pronti a reagire. Maometto permettendo.