Sergio Romano, Corriere della sera 27/7/2009, 27 luglio 2009
I SACERDOTI E LA POLITICA IL CASO DI DON SCIORTINO
È vero che lo stesso Vaticano ha precisato in più occasioni che Famiglia Cristiana non riflette la posizione ufficiale della Santa Sede, ma si può sapere perché don Sciortino, il direttore della rivista, debba intervenire su temi come quello del ritorno alle centrali nucleari in Italia? E poi si osa, e parlo anche della cosiddetta parte lesa, cioè lo Stato italiano, sostenere che non vi sono ingerenze da parte loro?
Antonio Benazzo
abenazzo@hotmail.com
Caro Benazzo,
iI tema dei «preti in politica» è già stato affrontato altre volte su questa pagina. Ma vale la pena di ricordare ancora una volta che la lista è molto lunga. Vi furono i cappellani garibaldini e risorgimentali che sfidarono la collera di Pio IX e presero partito per l’unificazione nazionale. Vi fu padre Semeria, uno dei personaggi più interessanti del primo Novecento, che partecipò alla creazione del movimento democristiano di Romolo Murri (un prete ridotto allo stato laico) e divenne consigliere spirituale al quartiere generale di Cadorna durante la Grande guerra. Fra i preti che entrarono decisamente nella pubblica arena vi fu don Luigi Sturzo, fondatore del Partito popolare, esiliato dalla curia romana quando la Chiesa lo considerò un impiccio da rimuovere e allontanare. Fra i preti che svolsero un ruolo semi-pubblico con il beneplacito della Santa Sede negli anni Trenta vi fu il gesuita Pietro Tacchi Venturi, incaricato di vigilare sulle voci dell’Enciclopedia Treccani che trattavano temi teologici o questioni di storia religiosa. Fra quelli che sostennero Mussolini sino alla fine e sognarono addirittura una Chiesa italica, separata da Roma, vi fu don Tullio Calcagno, fucilato dai partigiani alla fine della guerra.
La lista diventa, durante l’Italia repubblicana, particolarmente affollata. Comincia con padre Zucca, custode della salma trafugata di Mussolini nel 1946 e predicatore anticomunista dal pulpito della Chiesa dell’Angelicum.
Continua con padre Riccardo Lombardi, «microfono di Dio», negli stessi anni. Prosegue con don Ernesto Balducci, paladino dell’obiezione di coscienza, e don Lorenzo Milani, fautore della disobbedienza civile. Altri casi non meno interessanti furono quelli di Giuseppe Dossetti e Gianni Baget Bozzo. Il primo lasciò la politica per il sacerdozio nel 1956, ma «riprese servizio» negli anni Novanta divenendo consigliere e mentore di un gruppo di giovani intellettuali e magistrati. Il secondo lasciò temporaneamente il sacerdozio per la politica (per alcuni anni fu sospeso a divinis) e divenne consigliere politico prima di Craxi, poi di Silvio Berlusconi. Come vede, caro Benazzo, don Sciortino appartiene a una numerosa famiglia.
Come dovremmo giudicare i loro interventi nella vita pubblica? Considerati da un punto di vista liberale, i sacerdoti che si occupano di politica sono cittadini italiani che esprimono le loro personali opinioni e rappresentano soltanto se stessi. Accade invece purtroppo che i partiti, anziché trattarli come individui, cerchino di usarli come sacerdoti, soprattutto quando prendono posizioni corrispondenti ai loro programmi e alle loro strategie. Quando don Sciortino scrive i suoi articoli, qualcuno dice: «Ecco, vedete, lo dice anche Famiglia Cristiana ». Occorrerebbe invece ricordare che don Sciortino non ha, quando affronta certi argomenti, l’autorità morale di un sacerdote.