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 2009  luglio 27 Lunedì calendario

«MAESTA’, NON ABBIAMO VISTO LA CRISI PER POCA IMMAGINAZOINE»


LONDRA – Quando, nel no­vembre scorso all’inaugurazio­ne del nuovo palazzo che ospita la London school of Economics, il professor Luis Garicano fece gli onori di casa forse non pen­sava che fuori dal programma ufficiale, la regina potesse rivol­gergli una domanda del genere: «Come mai gli economisti non hanno saputo prevedere la re­cessione e la sua gravità?». Sua maestà nelle cerimonie pubbli­che dispensa tanti sorrisi e po­che parole, sempre misurate. Quella volta, nel pieno dell’on­da devastante della crisi finan­ziaria, la curiosità di Elisabetta II sembrò un pochino maliziosa ma sintetizzava ciò che in tanti si stavano chiedendo. Qualcuno riferì frettolosamente che Luis Garicano, illustre accademico, preso alla sprovvista rispose bal­bettando. Cosa, però, che lui stesso smentì con un articolo apparso sul «Guardian» qual­che giorno più tardi: «Non sono stato colto di sorpresa, anzi ho spiegato bene che non pochi economisti, in tempi non so­spetti, hanno ammonito sui pe­ricoli dell’eccesso di debito e sulla bolla immobiliare america­na ». Irritato dalle lingue lunghe che gli avevano attribuito una replica imbarazzata e impacciata Luis Garicano chiuse l’«incidente » con una ammissione: «Aldilà di ciò che ho detto o non ho detto, la regina ha posto una questione seria».

Probabilmente quella mezza frase buttata lì da Elisabetta II ha lasciato il segno e ha colpito al cuore il circolo degli studiosi britannici i quali hanno pensato bene di riunirsi in seminario in giugno, esaminare, infine rispondere con una lettera di tre pagine indirizzata a Buckin­gham Palace e recapitata anche alla redazione dell’«Observer». La firmano alcuni pezzi da no­vanta: Paul Tucker, vicegoverna­tore della Banca d’Inghilterra, Tim Besley, membro del comita­to di politica monetaria della banca centrale, lo storico Peter Hennessy, il segretario perma­nente del Tesoro Nic MacPher­son, i capi economisti di Gold­man Sachs e HSBC, Jim O’Neill e Stephen King.

Allora: fu un clamoroso abba­glio collettivo il silenzio o la sot­tovalutazione degli squilibri che la voragine del debito Usa aveva aperto? E chi ne furono i responsabili? A metà fra l’auto­critica e l’autogiustificazione il team degli economisti rivela al­la regina che l’ottimismo, il «fe­elgood factor», mascherò il defi­cit finanziario accumulato da al­cuni Paesi. Ci fu un eccesso di confidenza nella politica dei bas­si tassi d’interesse che consenti­va alle famiglie americane di in­seguire il sogno del mutuo a buon mercato e della casa di proprietà. Non si colse per tem­po il rischio che potevano gene­rare l’insolvibilità, la frantuma­zione del credito da parte delle istituzioni bancarie, la sua tra­sformazione in strumenti finan­ziari sempre più complessi e fantasiosi, l’internazionalizza­zione di queste opzioni «spazza­tura » .

«In definitiva ’your majesty’ – concludono i professori – l’incapacità di prevedere l’esten­sione, i tempi e la severità della crisi, fu principalmente dovuta alla mancanza di immaginazio­ne collettiva di molte persone intelligenti che non colsero i ce­dimenti dell’intero sistema». Ca­po cosparso di cenere e mea cul­pa. La regina troppo curiosa si riterrà ora soddisfatta?