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 2009  luglio 27 Lunedì calendario

«COSI’ DAL NORD-EST HO RIPORTATO IN ITALIA I SIMBOLI DI MILANO»


Bauli: un futuro per Alemagna e Motta La scelta di Nestlé e il via dell’Antitrust

VERONA – «Mi domandano sem­pre increduli ’ma è proprio lei il si­gnor Bauli’? Chissà perché tutti aspet­tano di trovarsi davanti una persona paciosa e corpulenta. Sono abituati al mio amico Giovanni Rana e io invece sono alto e magro». Il signore del pan­doro, Alberto Bauli, oggi ha 69 anni e ha appena avuto semaforo verde dal­l’Antitrust (penando non poco) per comprare le storiche aziende fondate da Angelo Motta e Gioacchino Alema­gna. Le due aziende dopo anni di tribo­lazioni sono assai dimagrite (ai tempi d’oro avevano 8 mila dipendenti, oggi 190) e messe assieme per dipendenti e fatturato valgono solo un quarto della Bauli ma continuano ad avere un bla­sone da serie A e nell’immaginario de­gli italiani evocano la Grande Milano, quella della Campionaria e del miraco­lo economico. In realtà i panettoni ven­gono prodotti da una vita a S.Martino Buonalbergo, a due passi da Verona ma poco importa, è come se grazie a Bauli il Nord Est avesse comprato un pezzo di Milano. Una bella rivincita per i veneti e anche per il pandoro.

Alberto Bauli non scopre ancora le carte ma pensa di differenziare i due marchi, Alemagna nell’alta pasticceria e Motta nella grande distribuzione e comunque non li vuol troppo milane­sizzare. Perché dice «il panettone è un dolce nazionale». A renderlo orgoglio­so, in verità, più che lo shopping am­brosiano è la scelta fatta dal venditore, la potentissima multinazionale Ne­stlé. «Non volevano dare Motta e Ale­magna a un fondo di private equity che avrebbe tagliato l’occupazione, cercavano un acquirente che desse ga­ranzie di qualità perché hanno profon­do rispetto dell’industria dolciaria ita­liana ». Racconta Bauli: «Dal ”70 ad og­gi ho conosciuto ogni amministratore delegato che produceva i panettoni Motta. Succedeva sempre che veniva­no da noi a pranzo a chiederci che me­stiere è fare l’industriale del dolce da ricorrenza». Una volta accadde che an­che che tal Barbieux, un manager fran­cese, dopo il caffè apostrofasse i vero­nesi «non sarete anche voi venuti qui per venderci la vostra azienda» e si beccasse l’orgogliosa (e profetica) ri­sposta «caso mai succederà il contra­rio ». Anche quando la famiglia Zanin aveva venduto a Bauli i biscotti Doria era successa una cosa analoga. Voleva­no accasare l’azienda e scelsero sulla carta lo sposo ideale. Bussarono a casa Bauli e in due colloqui l’azienda era venduta e comprata.

L’identificazione tra i 770 lavoratori fissi, i mille stagionali e l’azienda del pandoro è altissima. In 30 anni mai avuto conflitti sindacali, a nessuno vie­ne in mente di cambiar padrone nono­stante lavorino come dei matti. L’at­tuale amministratore delegato, Gasto­ne Caprini, di anni ne ha 65, è in azien­da

Pubblicità Nella foto sopra un giovanissimo Silvio Berlusconi, in tenuta sportiva, in una pubblicità degli anni 60 per Motta
da 30 anni e non ha nessuna voglia di andar via. Anche i finanzieri delle Fiamme Gialle arrivati in fabbrica per un controllo confessarono a Bauli di «aver trovato un ambiente incredibile ». Su tutti regna Alberto che dalla poltrona di presidente controlla tutto grazie a un report di 60 paginette con tutti i dati aziendali che gli arriva ogni settimana sulla scrivania. Perché la Bauli è un’azienda modernissima e su­per- tecnologica: nel solo stabilimento di Castel d’Azzano sono stati investiti in 10 anni ben 150 milioni di euro per automatizzare tutto il possibile tanto che al confronto con gli impianti Ne­stlé il Veneto batteva la Svizzera.

Non tutti i Bauli han scelto di lavora­re in azienda, anzi. I due fratelli di Al­berto, Carlo e Adriano, s’occupano d’al­tro e per quanto riguarda i tre figli il primo, Carlo Alberto, fa l’avvocato ed ha curato il deal con la Nestlé, il secon­do Francesco sta conseguendo un Ma­ster in biotecnologie alla New York University, la terza, Chiara, studia filo­sofia. Solo un nipote, Michele, ha pre­so la strada del pandoro. «Ma non è un problema. In fondo siamo dei vene­ti anomali, per noi la famiglia è una co­sa distinta dall’azienda, non c’è quel coinvolgimento totalizzante di tanti al­tri colleghi del Nord est. Nella vita c’è tanto d’altro».

Per sfondare Bauli capì per tempo la forza della pubblicità. Cominciò addi­rittura con Carosello ma doveva pro­grammare gli sketches mesi prima e poi magari glieli piazzavano dopo Ca­podanno, quando vender pandori è un’impresa impossibile. «Una volta venne in azienda addirittura il genera­le Fiore per controllare se le cose che dicevamo nella pubblicità corrispon­devano al vero!». Poi apparve Silvio Berlusconi «e sono stato uno dei 350 industriali ospitati in via Rovani per farsi spiegare come funzionava la tv commerciale: è stata la nostra e la sua fortuna». Oggi del Cavaliere-premier Bauli pensa che «ha grande successo perché interpreta istanze latenti ma per questo deve dare risposte, se non le darà verrà contestato anche lui». Perché le cose che «noi industriali vo­levamo 30 anni fa, un Paese che fosse più anglosassone e meno burocratico, sono ancora lì da fare».

Persino produrre dolci è difficile in Italia, quando va bene si guadagna po­co. Ad avere ammazzato tante piccole e medie imprese è stato il cambiamen­to determinato dalla grande distribu­zione organizzata. E persino per chi si chiama Bauli è un braccio di ferro con­tinuo. «Sei costretto a passar da loro e ad accettare le regole. Usano il pando­ro e il panettone come prodotti civet­ta, li vendono sotto costo per attirare il cliente, che una volta entrato riem­pie il carrello di altri prodotti. Loro co­munque ci guadagnano e noi siamo co­stretti a comprimere i margini». Per le imprese più fragili diventa sempre più difficile tenere il mercato e così a pro­durre i dolci da ricorrenza sono rima­sti in quattro a Verona, due nel Pie­monte e uno solo a Parma. Un altro pezzo di industria che presto o tardi se ne andrà? «No - risponde Bauli - La qualità alla lunga vince. E poi la gente a Natale non può fare a meno del pan­doro o del panettone. Senza, si sente povera».