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 2009  luglio 27 Lunedì calendario

A QUANTI FA GOLA IL TESORO DELL’INAIL


Le ragioni di una crescita delle disponibilità di un fondo che potrebbe essere utilizzato meglio

L’attivo di bilancio è nel 2009 di 13 miliardi e 236 milioni

La cifra è notevole: oltre 13 miliardi di euro, per la precisione 13.236 milioni. A tanto ammonta quest’anno il tesoro dell’Inail, sul quale si aggirano lupi famelici e con il quale si potrebbero realizzare numerosi obiettivi.

Lavorare per la sicurezza sul lavoro. Questa è la funzione fondamentale dell’istituto pubblico Inail, Istituto Nazionale Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, guidato dal Presidente e Commissario straordinario Marco Fabio Sartori.

La tutela nei confronti dei lavoratori che l’Istituto svolge, grazie anche alle nuove normative in fatto di sicurezza sul lavoro, è a tutto campo. Si va dagli interventi di prevenzione nei luoghi di lavoro alle prestazioni sanitarie ed economiche, alle cure, riabilitazione e reinserimento nella vita sociale e lavorativa nei confronti di coloro che hanno già subito danni fisici a seguito di infortunio o malattia professionale. Il meccanismo di funzionamento dell’ente è quelle tipico di una compagnia d’assicurazione: si paga un premio assicurativo per tutelarsi dal rischio per la salute derivante dall’attività lavorativa. L’assicurazione è obbligatoria per tutti i datori di lavoro che occupano lavoratori dipendenti e parasubordinati nelle attività che la legge individua come rischiose.

Il dato che salta subito all’occhio quando si guardano i conti dell’Inail è il suo attivo di bilancio. Per il 2009 il cosiddetto tesoretto, ovvero la sua disponibilità di cassa, ammonta a 13 miliardi e 236 milioni di euro. Questi soldi sono depositati quasi per intero su un conto infruttifero presso la Tesoreria centrale dello Stato. In otto anni il tesoretto è passato da 3 miliardi e 446 milioni del 2001 agli oltre 13 miliardi del 2009. Come mai l’attivo di cassa in otto anni è triplicato? Le spiegazioni che vengono date dall’istituto riguardano tre ordini di cause. La cartolarizzazione degli immobili a reddito e ad uso istituzionale, 2.220 milioni di euro; mancati investimenti immobiliari a causa di restrizioni pubbliche, 5.700 milioni di euro; una corretta gestione che porta ad un surplus fisiologico l’anno di 1.600 milioni di euro.

Queste le ragioni di fondo dell’attivo secondo l’Istituto. In parte, probabilmente, una risposta viene anche dall’ultimo rapporto Inail sulla sicurezza sul lavoro, dal quale risulta una diminuzione graduale degli infortuni e delle incidenti mortali sul lavoro sul lavoro. Nel 2008 i dati Inail parlano di 874.940 infortuni e 1.120 incidenti mortali. Questo dato è stato definito storico perché per la prima volta dal 1951 il numero dei morti sul lavoro è sceso al di sotto dei 1.200 casi l’anno. Il 2008 conferma una tendenza in atto da molti anni (a parte il 2006) che vede una riduzione di un quarto degli infortuni mortali sul lavoro a partire dal 1963, in cui erano 4.464. Anche gli infortuni sul lavoro sono diminuiti passando dai 912.419 dell’anno precedente agli 874.940 di quest’anno, registrando in otto anni una diminuzione del 14,5 per cento. A fronte di questi dati, tuttavia, spiccano quelli relativi alle malattie professionali, considerate un po’ una cenerentola, ma che al contrario rappresentano una questione molto preoccupante.

In due anni c’è stato un incremento di denunce per malattie professionali dell’11 per cento arrivando alla cifra assoluta di circa 30 mila casi, con un incremento di 3 mila negli ultimi due anni. Nel 2008, inoltre, l’incidenza della malattie non tabellate, ovvero quelle malattie per cui è richiesta al lavoratore l’onere di dimostrare il nesso tra la malattia professionale sopraggiunta e l’attività lavorativa svolta, hanno raggiunto l’86 per cento di tutte le denunce.

Questo dato lascia intuire che in questo ambito c’è ancora molta chiarezza da fare. Tra le malattie professionali quelle che più suscitano apprensione sono i tumori di origine lavorativa. Su questo punto la situazione è nebulosa. Le difficoltà sono dovute, tra l’altro, alla natura stessa del tumore di origine lavorativa che ha una fase molto lenta per manifestarsi, oltre alle difficoltà di accertamento del nesso tra causa e effetto su certe malattie. L’Ispels, l’Istituto pubblico di ricerca sulla sicurezza sul lavoro, stima che in Italia ci siano più di 6 mila casi l’anno di tumori derivanti dall’esposizione da agenti cancerogeni nei luoghi di lavoro. Lo studio europeo CARcinogen EXposure, citato dall’Ispels e aggiornato di recente, stabilisce che i lavoratori esposti a sostanze cancerogene in Italia sarebbero 4,2 milioni. L’Inail stessa è consapevole della situazione.

Il direttore generale, Alberto Cicinelli, in una dichiarazione apparsa sul sito dell’Istituto ha sottolineato come di fronte 250 mila tumori verificati, i tumori denunciati ai fini risarcitori nel 2006 sono stati 1.860, dei quali sono stati riconosciuti in media poco più del 54 per cento, e lanciando un appello: «Mi rivolgo a tutti i medici: oltre alle domande di rito, come quelle sullo stile di vita, sarebbe utilissimo chiedere ai pazienti anche il tipo di lavoro e l’ambiente nel quale operano o hanno operato». Forse, alla luce di questi numeri, è arrivato il momento di mettere al centro dell’agenda sulla sicurezza sul lavoro anche la questione delle malattie professionali, visto tra l’altro, che le risorse sembrano esserci e non mancare.