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 2009  luglio 24 Venerdì calendario

AIUTIAMO IL SUD A NON ESSERE ZAVORRA


Il circolo vizioso del sottosviluppo si spezza con le riforme e l’impegno di governo - DATI IN NEGATIVO - Gli studi di Confindustria e Svimez fotografano la crisi che sta investendo le regioni dell’area, amplificandone i difetti strutturali

Due rapporti dedicati nel giro di un mese al Mezzogiorno - quello predisposto dal Centro studi Confindustria a metà giugno e quello presentato nei giorni scorsi dalla Svimez - tratteggiano con grande accuratezza i contorni di una crisi che sta investendo le regioni meridionali, amplificando i ritardi strutturali e aggravando dualismi storici. Come sessant’anni fa, quando si diede inizio all’intervento straordinario, il Mezzogiorno, pur avendo sul suo territorio un numero di residenti pari a più di un terzo della popolazione nazionale, continua a produrre una quota del Pil nazionale che non arriva a un quarto del totale, e se dal 2000 a oggi il divario Nord-Sud in termini di Pil per abitante si è ridotto di 2 punti percentuali (oggi si attesta sul 41%), tale dinamica non segnala affatto un recupero del gap di sviluppo, ma è dovuta solo alla riduzione relativa della popolazione.
Eppure, sostengono i due rapporti, il male più grave che attanaglia l’Italia - la bassa crescita - dovrà trovare necessariamente soluzione nella "messa a regime" del Mezzogiorno e nella sua trasformazione da zavorra a motore dell’economia italiana. Si calcola che la chiusura sul divario del Pil pro capite, agendo sul tasso di occupazione e sulla produttività, aggiungerebbe alla crescita dell’Italia oltre un punto percentuale l’anno. Una particolare attenzione dovrà essere riservata al rafforzamento dell’apparato produttivo e alla maturazione del tessuto imprenditoriale meridionale: il manifatturiero del Sud produce appena il 13,7% del valore aggiunto, contro il 25,7% del Nord, e la quota di unità locali meridionali con meno di 10 addetti è pari al 90,1% contro l’80,8% del Nord.
Affinché ciò possa avvenire, occorrono impegno costante nell’azione di governo, risorse adeguate non assistenziali e bene utilizzate, profonde riforme da attuare a scala nazionale, di cui il Sud beneficerebbe in misura molto più intensa, tenuto conto dell’ampiezza delle carenze di sistema che lo caratterizzano.
Alla luce delle analisi svolte dai due rapporti e delle sollecitazioni provenienti dal mondo imprenditoriale meridionale, questo sforzo andrebbe esercitato lungo tre direttrici prioritarie di intervento, ricordando che si tratta di spezzare in più punti il circolo vizioso del sottosviluppo e quindi accantonando - come raccomanda la Svimez - «formule ideologiche che attribuiscono un primato assoluto ora a un fattore ora a un altro».
Una prima linea di azione deve puntare decisamente al miglioramento delle condizioni del contesto civile e a un graduale annullamento del gap esistente nell’efficienza delle amministrazioni e nell’offerta di beni pubblici che hanno effetti rilevanti sull’attività delle imprese: la giustizia civile, la sicurezza, l’istruzione, i tempi amministrativi del doing business, l’assistenza sociale. Occorrerà pertanto agire non soltanto attraverso la leva delle politiche di sviluppo regionale, principalmente orientate alla formazione di capitale sociale (infrastrutture) o alla erogazione di trasferimenti alle imprese, ma anche attraverso politiche di carattere nazionale orientate a definire le regole del vivere civile o a fornire servizi pubblici essenziali. Recenti analisi (si veda Giorgio Barba Navaretti, sul Sole 24 Ore del 30 giugno) mostrano che l’impatto esercitato nell’attrazione di investimenti esteri dalla riforma della giustizia civile produrrebbe effetti dieci volte superiori alla spinta proveniente da una riduzione dell’imposta sui profitti.
Una seconda direttrice, di più diretto interesse per il mondo delle imprese che già operano nelle regioni meridionali o che decidono di investire in questa parte del paese, deve provvedere a un riordino degli incentivi, e in particolare a una semplificazione delle procedure e a una riduzione dei regimi di aiuto, ricorrendo soprattutto alla leva fiscale nelle forme del credito d’imposta a sostegno degli investimenti, dei progetti di ricerca e innovazione, di una maggiore proiezione internazionale. Strumenti agevolativi di immediata fruibilità e dotati di risorse certe saranno essenziali per accompagnare le strategie aziendali nell’uscita dalla crisi e per sostenere gli sforzi già in atto in diverse aree del Mezzogiorno per la creazione di poli, di clusters di spazi fisici fortemente caratterizzati nei quali componenti produttive finora frammentate siano spinte a una maggiore concentrazione in termini di economie di scala, di scambi, di comunione di servizi.
Il credito di imposta per investimenti, diventato operativo lo scorso anno, ha concesso agevolazioni (4,475 miliardi) che hanno esaurito già a settembre 2008 l’intero stanziamento fino al 2015. auspicabile che le risorse che via via si liberassero per effetto di rinunce o cambiamenti nei piani di investimento non fossero riassegnate ad altre finalità, ma impiegate per anticipare la fruizione del credito o per estendere la platea dei beneficiari. Alla rivitalizzazione dello strumento andrebbero indirizzate risorse aggiuntive, da reperire, dopo le necessarie verifiche tecniche e procedurali, anche attingendo ai fondi strutturali 2007-2013.
Una terza priorità è costituita dalla necessità di disporre di un’analisi rigorosa e condivisa delle disponibilità finanziarie di fonte nazionale da destinare al riequilibrio territoriale, allo scopo anche di sottrarre il tema alle facili polemiche e alle strumentalizzazioni politiche alle quali è stato sottoposto negli ultimi mesi. Secondo le stime più recenti (e la Svimez conferma questo dato) tra "tagli" e "pre-allocazioni" la dotazione del fondo aree sotto utilizzate è diminuita dall’inizio del 2008 di oltre 18 miliardi di euro, cifra che sale a 22 miliardi se si considerano i finanziamenti decisi dal Cipe a favore dell’Abruzzo.
Tra le risorse disponibili per il rilancio del Mezzogiorno dovranno essere ricomprese, oltre alla quota regionale del Fas in attesa di assegnazione e alle disponibilità ancora non impegnate del fondo costituito presso la presidenza del Consiglio, anche le cosiddette "risorse liberate". Il rischio da evitare è quello di ulteriori prelievi a favore di spese correnti e interventi emergenziali, cosa che comporterebbe una dequalificazione dell’impegno pubblico nel Mezzogiorno e il definitivo abbandono dell’obiettivo strategico della realizzazione nel Sud di una spesa in conto capitale superiore al 45% del totale (nel 2008 è stato realizzato un valore pari al 34,9%).
Questo tipo di analisi dovrà tenere ben presente anche la limitata capacità di spesa per investimenti delle amministrazioni pubbliche, intervenendo con decisione sui fattori che la frenano: i dati sull’utilizzo del Fas nel 2008 mostrano come le risorse assegnate con trasferimento dei fondi alle amministrazioni responsabili dell’attuazione degli interventi siano diminuite del 40% rispetto al 2007, a causa di un forte incremento dei residui passivi, triplicati tra il 2004 e il 2008.
Fa da sfondo a queste priorità la necessità sempre più avvertita che si imprima una svolta radicale nella spesa dei fondi strutturali e nella realizzazione degli interventi. Potranno risultare utili al riguardo le proposte che le parti economiche e sociali hanno annunciato di voler fornire per porre vincoli stringenti a quella frammentazione e a quella dispersione dei programmi che hanno condizionato fino ad oggi i risultati delle politiche europee.