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 2009  luglio 24 Venerdì calendario

IL RITORNO DELL’USURA AL TEMPO DI INTERNET


Lo chiameremo C.S. per evitargli altri dolori. Racconteremo la storia di un uomo semplice che si è trovato a un certo punto della sua vita prigioniero di un cravattaro, di un usuraio, di un bloodsucker (succhiasangue), secondo una recente definizione dei magistrati palermitani. Un imprenditore con crediti esigibili per parecchie migliaia di euro che non poteva incassare perché i committenti non li avevano, soffocati dalla crisi economica. Un caso limite, forse, considerato che lo strozzino era il direttore della banca dove C.S. aveva il conto.
Lui, C.S., è un piccolo imprenditore, uno di quelli che si è fatto i calli alle mani e continua a faticare come un mulo dodici ore al giorno per mandare avanti la piccola azienda. Si occupa di edilizia, ristrutturazioni, qualche appartamento. In paese non lo chiamano per nome ma semplicemente imprenditore, con quel tono quasi canzonatorio che solo in certi angoli del Sud si ascolta. Non un imprenditore di grandi opere. Lui lavora «quanto basta» per vivere giorni confortevoli, addirittura agiati se confronta il proprio tenore di vita con quello dei compaesani del piccolo centro in cui abita. uno di quegli imprenditori che, secondo una recente ricerca della Cna siciliana, più di altri è stato stritolato dalla morsa della crisi.
Una vita comoda fino all’ottobre dell’anno scorso, prima che gli eventi lo travolgessero. Prima che la tempesta paralizzasse le finanze dei suoi clienti. Prima che si consegnasse al suo aguzzino, il quale aveva sottomano ogni giorno i conti dell’azienda, l’andamento economico di questa piccola impresa, i movimenti del suo nucleo familiare: il direttore di banca. Gli ha proposto di «aiutarlo» con prestiti che lo hanno ingabbiato fino a portarlo all’esasperazione. Il cravattaro era il direttore di banca: tutti lo sapevano, tutti lo sanno ancora, anche quelli che dovrebbero condannarlo pubblicamente ma che pubblicamente lo difendono.

La banca lo ha cacciato, ma in paese lo strozzino gode di vasto consenso sociale. Il bloodsucker ha un atteggiamento affabile: abbraccia le vecchiette, aiuta tutti, si propone come difensore della legalità. Ha una doppia vita, è il tragico protagonista di un dramma pirandelliano in un Sud qualsiasi: «Era un crudele succhia sangue - dice C.S.-, ma si presentava con un volto così docile...».
C.S. ha raccontato il suo dramma prima agli amici, che lo hanno sostenuto, e poi ha sporto denuncia alla Guardia di finanza. I militari hanno arrestato il cravattaro. L’inchiesta ha appurato l’accaduto: il direttore di banca, dopo aver verificato che il conto di C.S. era in rosso, lo ha invitato a ripianare lo scoperto bancario. Quando l’imprenditore gli ha detto di non avere il denaro per azzerare i debiti, il direttore, per fargli evitare il protesto, gli ha proposto un aiuto tramite amici in grado di offrire denaro contante. Una trappola: il bloodsucker gli ha chiesto a titolo di garanzia per il prestito di quattromila euro la consegna di un assegno bancario da cinquemila euro, con un interesse di mille euro. C.S. non aveva scelta: accettare le condizioni del direttore perché i fornitori e gli operai andavano pagati, la famiglia accontentata.
«Il patto - racconta - prevedeva la restituzione dei cinquemila euro entro e non oltre un mese. Se non fossi stato in grado di pagare, avrei dovuto corrispondere un interesse mensile di 500 euro, con un tasso del 140 per cento». A febbraio il direttore di banca presta all’imprenditore tremila euro (ma ne trattiene subito 500). Iniziano le pressioni affinché l’imprenditore restituisca il prestito: 800 euro al mese, di cui 300 di capitale e il resto a titolo di interessi sul prestito. «Avevamo concordato interessi mensili del 10% - ricorda l’imprenditore - che il direttore, così mi diceva, doveva far avere a certi suoi amici che gli avevano offerto il capitale da prestare».
Era insistente, chiamava anche dalla banca, non aveva scrupoli. Pressava fino all’ultimo, proprio mentre C.S. era davanti ai militari per denunciare lo strozzino cui sono stati anche sequestrati beni per 1,5 milioni. «C’è una cosa che mi amareggia – dice l’imprenditore ”: molta gente, vittima di questo meccanismo, non alza la voce».
Solo dopo la denuncia, C.S. ha capito perché certi finanziamenti agevolati, magari garantiti dal Consorzio Fidi con interessi molto bassi (si può arrivare anche al 2%), a lui non sono mai arrivati: «Mancava sempre qualche carta per la pratica». Già.
Oggi C.S. è un uomo dall’orgoglio ferito, dopo aver ammesso davanti a moglie e figli che sì, è vero, si era consegnato a un usuraio per andare avanti. la storia semplice di una famiglia che ha rischiato di finire nel baratro ma che ha avuto la forza di denunciare e riscattarsi. L’imprenditore è uno dei pochi che ha avuto il coraggio di farlo: «Non si può sottovalutare che oggi – ha scritto il magistrato Teresa Principato nella parte della relazione 2008 della Direzione nazionale antimafia dedicata all’usura ”, di fronte all’accentuarsi della crisi economica, alla perdita di redditività delle micro e piccole imprese, al diminuire del potere d’acquisto di salari e stipendi, ma anche all’esplodere di modelli culturali e stili di vita sempre più dispendiosi, l’usura è destinata a insinuarsi in tutti gli strati sociali della popolazione. Si vedrà se tale situazione di difficoltà renderà ancora più appetibile per le organizzazioni di tipo mafioso l’ingerenza in questa attività parassitaria, suscettibile di lucrosi guadagni, tra i quali il rilevamento delle imprese. L’esperienza empirica, però, che dà il segno di una crescita del ricorso al credito usurario, non è supportata, come si è anticipato, dal numero delle denunce».
Il fenomeno dell’usura è vasto, vastissimo, come ha ricordato il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi mercoledì durante l’audizione alla Commissione parlamentare antimafia: sono 150mila i piccoli imprenditori che, secondo stime dello Scico della Guardia di finanza, finiscono ogni anno nelle mani degli strozzini. Sos impresa presenta un quadro ancora più allarmante: sono 180mila i commercianti vittime dell’usura, ma, dato che si indebitano con più strozzini in contemporanea, le posizioni debitorie sarebbero oltre 500mila. I tassi sono ormai stabilizzati oltre il 10% mensile, ma cresce il capitale richiesto e gli interessi restituiti. Sarebbero 50mila i commercianti indebitati con associazioni per delinquere di tipo mafioso finalizzate all’usura.
Poche le denunce. La Direzione nazionale antimafia tratteggia così la situazione: «Secondo i dati del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che ha curato un testo di Osservazioni e proposte in materia di usura, depositato a settembre 2008, dal 1996, anno di emanazione della legge 108 a oggi, tranne qualche segnale in controtendenza, si assiste a un calo sistematico e apparentemente inarrestabile del numero delle denunce». I dati del 2005 e 2006 segnalano la caduta verticale delle denunce (-11%). «Anche seguendo l’evoluzione storica del numero delle denunce – scrive sempre il magistrato antimafia Teresa Principato ”, ci si rende conto che il fenomeno è diffuso su tutto il territorio nazionale. L’incidenza nelle quattro regioni più a rischio (Campania, Calabria, Sicilia, Puglia) si è progressivamente abbassata dal 50% negli anni Novanta al 43% nel 2005, fino al 38% nel 2006. Sebbene l’andamento delle denunce sia in calo, l’usura continua a essere un fenomeno pervasivo nel Sud Italia, dove si concentra il 45% del fenomeno, con il 2% della Basilicata, il 6,5% della Calabria, il 12,5% della Campania, il 12% della Puglia e l’8,8% della Sicilia. La casistica è in preoccupante crescita anche nelle grandi aree metropolitane e produttive del Nord (11% in Lombardia, 9% nel Lazio, 8% in Piemonte, 5% in Toscana, Veneto ed Emilia Romagna)».
In molti casi la criminalità organizzata non ha molto a che fare con l’usura: secondo accertamenti fatti dallo Scico della Guardia di finanza, «per le associazioni mafiose la riscossione dell’interesse usurario non sempre ha valore primario». Significativa anche un’altra analisi degli uomini della Finanza: «L’usura è tanto più estesa quanto meno il tessuto sociale è robusto, in particolare nella fase di sfavorevole andamento congiunturale dell’economia. Un’altra causa di crescita del fenomeno è la riduzione del reddito reale, il conseguente sovraindebitamento delle famiglie che determina, a sua volta, l’incapacità dei soggetti coinvolti di rimborsare i debiti contratti». Proprio come era accaduto al nostro piccolo imprenditore che oggi vive senza l’asfissia di un presunto amico diventato carnefice.