27 luglio 2009
VITA DI DINO DE LAURENTIIS PER IL FOGLIO DEL 27/07/2009
«In Italia sono il dottor De Laurentiis e in America ”mister D”, o al massimo ”Dino”. Come Sinatra che era ”Frankie” e basta. Qualcosa significa, no?». [1]
Agostino De Laurentiis, detto Dino, è nato l’8 agosto 1919 a Torre Annunziata, in provincia di Napoli, padre proprietario di un pastificio, madre titolare di un negozio di farine, sei tra fratelli e sorelle. «Mio padre a un certo punto ebbe bisogno di un rappresentante per il pastificio. Mi guardò negli occhi: ”Tu”. ”Ma papà”, risposi, ”io non ho mai venduto. E dove dovrei andare?”. ”Nelle isole, cominciando da Ischia e Capri”. Fu il primo impatto con Capri. L’isola mi impressionò, e da allora ci sono sempre tornato». [2]
A 17 anni la svolta: «Un giorno, andando a Roma, sempre per vendere spaghetti, vidi un annuncio, il Centro sperimentale di cinematografia cercava allievi. Ero un ragazzino di provincia, adoravo il cinema, l’unica cosa che vedevo erano gli attori, così pensavo che il cinema fosse fatto solo di attori. Feci domanda, mi convocarono: fui ammesso». [2]
La sorella Raffaella, detta Lina: «Eravamo tutti attorno al grande tavolo della cucina per il pranzo, nostra madre Giuseppina, Don Aurelio e noi sette figli. Calcolate che a quei tempi avere un figlio attore era come avere una figlia prostituta. Noi lo sapevamo e avevamo paura per Dino. Mamma a un certo punto dice sottovoce ”Aurelio, tuo figlio Dino vuole fare l’attore”. Silenzio assoluto, i cucchiai a mezz’aria. Poi papà si alza, va da Dino e gli dice: ”Io penso che tu sia un folle, però non voglio che dopo la mia morte i miei figli abbiano a dire che non gli ho permesso di fare della loro vita quello che vogliono. Ma ricorda, ti manterrò solo per un anno”». [1]
I primi tempi Dino fece di tutto, lavorò come trovarobe, comparsa, attore generico. «Insomma la gavetta, quella dura. Poi, sul set di Mario Camerini che stava girando Batticuore, conobbi Peppino Amato e riconosco che per me è stato un grande maestro. Da lui ho capito che, dalla prima star all’ultimo falegname, tutti nascondono un tesoro, il produttore deve avere la pazienza di capirlo e saperlo tirar fuori». [3]
Nel 1941 fondò la Real Cine e nel 1941 produsse il primo film che ebbe un certo successo, L’amore canta, Nel 1942 passò alla LuxFilm e realizzò Malombra con Soldati. Poi arrivò la guerra. «L’8 settembre andai allo sbando, come la maggioranza degli italiani. Mi rifugiai a Capri dal mio amico Mario Soldati. E finalmente, alla liberazione, tornai a Roma. Eravamo di nuovo tutti insieme, vecchi e giovani, De Santis, Camerini, De Sica, Rossellini, pronti a ricostruire, a ricominciare. C’era una povertà desolante, Cinecittà era occupata dagli sfollati, avevamo pochissima pellicola, si girava per strada, senza attori, con la gente scelta dal marciapiede. I critici lo chiamarono ”Neorealismo”, ma quello era il cinema della fame. Eppure quel nostro cinema conquistò il mondo». [4]
Dal 1948 e per molti anni si associò con Carlo Ponti. Giovanni Grazzini: « Fu una coppia di ferro, anche perché i due produttori si potevano permettere la Mangano e la Loren, le loro rispettive mogli dive. Ma Dino era più curioso, produsse il primo film italiano a colori, Totò a colori, un altro in 3D, quello con gli occhialetti. I suoi punti di forza furono i film con Totò, la grande amicizia con Fellini, i primi kolossal all’italiana, i film con Sordi». [5]
In questi anni nacquero Roma citta aperta, Sciuscià, Paisà, Ladri di biciclette ecc. «Quei film lanciarono il nostro cinema nel mondo e fecero capire agli americani che il loro sistema produttivo era sbagliato. Lo hanno detto e ripetuto Spielberg, Pollack e Scorsese: ”Abbiamo imparato da voi”. Fu un momento magico: Hollywood rischiò di perdere il primato». [2]
Nel 1949 ci fu Riso Amaro e l’incontro con Silvana Mangano: «Avevamo un copione di Peppino De Santis, il regista, ma non riuscivamo a trovare la protagonista femminile. Disperati, io e Peppino camminavamo per via Veneto. Alzando gli occhi vidi un manifesto elettorale. C’era una ragazza selvaggia, aggressiva e composta allo stesso tempo. Una bomba. Eccola là, dissi, è lei. La cercammo e lei non voleva neanche fare l’attrice. Fu suo padre a convincerla. La nostra storia d’amore è iniziata dopo che il film è finito». [6]
La cosidetta hollywood sul Tevere fu agevolata da una legge voluta da Andreotti che diceva che un film per essere italiano deve avere almeno il cinquanta per cento di personale italiano. «Questo ci dava la possibilità di impiegare anche attori americani, come Clint Eastwood negli spaghetti western o Audrey Hepburn in Guerra e pace». [2]
Nel 1964 creò sulla via Pontina Dinocittà, 25 ettari di studios, dove allestì fra l’altro La Bibbia. Tullio Kezich: «Fu il sogno di un megalomane. Ma il suo sforzo fu contrastato da una legislazione per cui le megaproduzioni in lingua inglese non potevano più ottenere i benefici derivanti dal riconoscimento della nazionalità italiana, come accadde per Waterloo. Così è crollato il sogno di Dinocittà, che oggi è un ammasso di rovine». [7]
A proposito del kolossal sulla Bibbia: «Una mattina in un albergo a New York mi sveglio all’alba e non ho niente da leggere. Apro un cassettino e trovo una Bibbia. Io non la conoscevo. Comincio a leggere ”sta Bibbia. Cavolo, mi dico, qui ci sono dei film straordinari. E mi è nata l’intuizione. Mi han dato del pazzo e del folle. Lo stesso dicasi per Guerra e Pace. Che fa De Laurentiis: si mette a girare Tolstoi? Per questo sono una star, se mi è permesso dirlo. Decido mentalmente, mi prendo responsabilità, azzardo e ho dato dimostrazione di aver avuto naso, mi sembra». [7]
Quella volta che Dino De Laurentiis consigliò a Miranda Orfei di cambiare il proprio nome in Moira e di tenere sempre la stessa acconciatura: «Non cambiarla mai, ché le donne che cambiano spesso non hanno personalità». [8]
Vita privata: primo matrimonio nel 1945 con Bianca De Paolis, da cui divorziò nel 1966. Secondo matrimonio nel 1951 con Silvana Mangano, da cui ha avuto i figli Veronica, Raffaella, Federico (morto in un incidente aereo in Alaska) e Francesca. Nel 1990 si è sposato per la terza volta con Martha Schumacher, da cui sono nati Carolyna e Dina.
«Dino era gelosissimo. Perciò non ho mai recitato col giovane Mastroianni» (Silvana Mangano). [8]
La Mangano trattava malissimo Dino, per tutta la vita lo chiamò per cognome. «Non è il mio uomo ideale», disse una volta per giustificarsi. [9]
Sulla morte del figlio Federico: «Quella tragedia ci ha proprio spezzato le gambe... I rapporti tra me e Silvana, diventati sempre più difficili nonostante il trasferimento a New York e l’aggravarsi del suo stato depressivo, si fecero impossibili. In teoria quando succedono queste tragedie dovrebbe esservi un ravvicinamento fra il padre e la madre: nel caso nostro invece c’è stato un maggior distacco. Come se io avessi considerato colpevole lei e lei avesse considerato colpevole me...». [10]
La partenza per gli Stati Uniti nel 1972, il primo film prodotto in oltreoceano nel 1973, Serpico, diretto da Sidney Lumet: «Io ero terrorizzato: che ci faccio qui, non conosco la lingua, non conosco i loro gusti, come mi muovo? Tutto dipendeva dal primo film, se imbrocco quello, mi dissi, è fatta. Chiamai Peter Maas, un autore dal quale avevo già acquistato i diritti di Joe Valachi-I segreti di Cosa Nostra: ”Ho bisogno di una storia”, gli dissi. ”Sto scrivendo un nuovo libro, ma ho già pronto solo il primo capitolo”, rispose. Pretesi che me lo mandasse. M’intrigò quel personaggio e comprai Serpico a occhi chiusi. Maas pretese un capitale, cinquecentomila dollari, cinque milioni di euro di oggi, ma quel film fece la mia fortuna. Poi arrivarono I tre giorni del Condor, un cult. A quel punto ebbi qualche certezza: ok, posso fare il produttore americano». [10]
«Negli Stati Uniti ha prodotto kolossal come King Kong, Flash Gordon e Ragtime. Sempre con alterna fortuna, però senza troppo inorgoglirsi né troppo deprimersi, con il piglio del grande giocatore. A Dino tutti riconoscono la qualità di un cineasta che ama profondamente il suo mestiere e lo conosce come pochi». [7]
Il suo provino a Jessica Lange per King Kong: «Non mi convinse, brutti denti, poco seno. Dopo il provino, il regista John Guillermin mi chiamò: ”Dino, questa è una grande attrice”. La convocai nel mio ufficio: ”Senti Jessica, se torni da me fra quindici giorni con denti e seno rifatti la parte è tua. Ma ricorda, io negherò sempre di fronte al mondo di averti fatto questa proposta”. Tornò dopo dieci giorni, aveva seguito il mio consiglio». [2]
«Se vedendo un’attrice o una donna mi accorgo che mi attrae sessualmente è una prima indicazione. Se mi lascia indifferente, non mi arrazza, vuol dire che non ha sex appeal. Non farà carriera. Non bucherà lo schermo. Lascerà gli spettatori indifferenti, freddi. Pochi biglietti. Questo non significa che ci debba andare a letto. L’attrazione sessuale immediata è però una cartina di tornasole». [11]
Il ricordo di Meryl Streep: «Andai da lui per l’audizione di King Kong. Disse ”perché mi avete mandato questo maiale? Questa donna è davvero orrenda”, così io gli ho risposto: ”Mi dispiace di averla contrariata”. Era così abituato a trattare le donne come bamboline da non immaginare che una bionda potesse anche parlare italiano». [12]
Gian Piero Brunetta: «Si deve smettere di pensare a De Laurentiis solo come il tycoon americano, il produttore di kolossal, il folle avventuriero del cinema, sempre in bilico tra flop e Oscar. Lui ha rappresentato un immenso ponte fra l’Italia e l’America, perché ha portato il lussuoso artigianato italiano a Hollywood e i sistemi dell’industria americana a Cinecittà. questo il suo capolavoro». [13]
«E ancora dicono che faccio film commerciali. I critici e il cinema non sono mai andati d’accordo. Povero Totò... Grande amico, attore immenso. La critica lo fece a pezzi, lo trattò come un guitto. E La strada? Nessuno voleva farlo. Abbiamo vinto l’Oscar, decine di premi nel mondo. I critici lo condannarono: ”Fellini è un giovane regista che può fare molto, ma questa volta ci ha deluso”. Così decisi di affittare una sala sugli Champs-Elysées: i francesi impazzirono, critica e pubblico. Il successo de La strada partì da Parigi».
La volta che Dario Argento andò da lui per farsi produrre Oltre la morte. «Il film gli fece talmente schifo che mentre mi parlava non toccava neanche il copione con le dita, ma solo con la matita». [14]
Nel 2001 gli è stato consegnato il Premio Oscar alla carriera, nel 2003 il Leone d’oro, intanto ha continuato a lavorare. Ultimi film prodotti Red Dragon (2002), L’ultima legione (2007) e Hannibal Lecter - Le origini del male (2007): «Il cinema è una droga e una fatica, ma è esaltante. Un giorno costruisci sottomarini e rifai la guerra mondiale, un altro vai indietro nel passato e fai la vita di Alessandro. Ho fatto 600 film, ma ad ogni una nuova idea, mi ci butto con l’entusiasmo e la curiosità del primo». [3]
Da molti anni vive in America e dice, alla vigilia dei suoi novant’anni, che difficilmente riuscirà a tornare nuovamente in Italia. «Qui in America, per un certo gruppo sociale, l’italiano per sua natura è mafioso. Lo dissero anche di me, e lo sa perché? Un mio direttore di produzione ebbe un diverbio con la polizia mentre giravamo Pollice da scasso nel 1978, così dovetti presentarmi di fronte a una commissione. ”Lei conosce la mafia?", mi chiedono. ”Conosco Jimmy Carter, il Papa, molti vip, è il mio mestiere, ma non conosco la mafia”. E loro: ”Eppure lei conosce Vincent Alo, detto Jimmy Blue Eyes”. ”Certo, voleva bloccare un mio film. L’ho incontrato, l’ho costretto a non importunarmi. Fine della storia”». [2]
(a cura di Luca D’Ammando)