Gianluca Agata, Il Riformista 24/07/2009, 24 luglio 2009
CALCIATORI O TESTIMONIAL PUBBLICITARI? ECCO L’AZIENDA CHE NON CONOSCE CRISI
Il calcolo è semplice: un milione d’ingaggio significa più o meno due di fatturato con dipendenti, collaboratori, stipendiati, a cui si pagano marchette e contributi. A questi da aggiungere gli introiti derivanti dagli sponsor e dalle comparsate televisive. Sfogli l’album Panini e in realtà ti accorgi di consultare la Guida Monaci. Nel giugno scorso, la rivista Forbes ha pubblicato l’elenco aggiornato degli sportivi più pagati del mondo. In testa c’è Tiger Woods con 110 milioni di dollari, alle sue spalle Kobe Bryant e Michael Jordan con 45. Quinto David Beckham con una cifra in dollari equivalente più o meno a 31 milioni di euro. La cosa strana è che il maggiore dei suoi guadagni non arriva dallo stipendio calcistico, solo 4,2 milioni, ma dagli introiti di sponsor e marketing che raggiungono ben 25 milioni più 1,8 milioni che arrivano nelle casse dello Spice boy da premi legati alle prestazioni. Dietro di lui si piazza Ronaldinho che con 24,1 milioni non se la passa niente male.
Abbigliamento, acque minerali, gel da barba, telefonini. Ormai il testimonial calcistico è valido per qualsiasi brand pubblicitario se si parla di campioni, salute, vita da atleti. Il Real Madrid chiede per sé il cinquanta per cento degli accordi raggiunti da giocatori e procuratori con sponsor esterni. Introiti pubblicitari che negli Usa servono anche per aggirare il famoso tetto del salary cap imposto alle squadre di basket professionistiche per cercare di livellare i guadagni dei giocatori. Il Napoli, unica società in Europa, ha deciso, invece, sul modello del cinema, di applicare contratti naked, cioè nudi, per spogliare il giocatore della titolarità della propria immagine. su questo terreno che si è combattuta la battaglia di Obinna e De Sanctis. Il primo titolare di contratti d’immagine in Nigeria a cui non ha voluto rinunciare, il secondo che ha rescisso l’accordo con la Lotto pur di poter vestire la maglia del Napoli. L’ultima querelle riguarda Lavezzi, ormai molto vicino alla rottura con il presidente De Laurentiis. Sembra, infatti, che il Pocho a causa del contratto in esclusiva che lo lega al Napoli abbia dovuto rinunciare ad un accordo da 150.000 euro con l’Adidas. Anche questo sarebbe alla base dei mal di pancia di stagione con una società azzurra che, in forza di un recente adeguamento contrattuale, non vuole cedere ai desiderata dell’argentino.
In Italia la conquista dei diritti di immagine ha una data precisa: 1 ottobre 1974, quando l’Associazione calciatori vinse la battaglia della pubblicità da far gestire in proprio ai giocatori. All’inizio furono soltanto piccole apparizioni. Si pensava che i prodotti che gli atleti potessero garantire in modo credibile fossero relativamente pochi e strettamente associati alle loro specialità sportive. A rompere il fronte furono Roberto Baggio - intrepido mungitore di mucche per il latte Granarolo alla fine degli anni novanta - Maurizia Cacciatori (allora capitano della nazionale femminile di pallavolo) e Umberto Pellizzari (campione mondiale di apnea) ritratti in quadretti per i biscotti Oro Classico Saiwa, fino ad arrivare al più recente caso Del Piero protagonista di una sorta di soap opera con l’ex Miss Italia Cristina Chiabotto. Nike ed Adidas sono andate oltre facendo del corpo dell’atleta, leggi Michael Jordan, un brand e lanciando messaggi come "Just do it" o "Impossibile is nothing".
Secondo una ricerca promossa da Meta Comunicazione, per calcolare il vero valore di un testimonial del calcio esiste un quoziente di fedeltà: il calciatore deve trasmettere valori, fidelizzare il proprio pubblico e trasmettere al prodotto e al brand che pubblicizza un’immagine positiva. Tra i grandi campioni italiani del calcio ad ottenere i quozienti di fedeltà più alti ci sono Totti, Del Piero, Maldini e Gattuso. L’abbinamento calciatori e veline, vita sregolata e all’insegna degli eccessi non vale più. Il segreto del successo? Attaccamento alla propria squadra, comportamenti spontanei nella vita privata, semplicità, coerenza ma soprattutto la capacità di esprimere valori positivi. Aggiungiamo un tocco di palla felpato e qualche gol ed ecco che l’azienda calciatore non potrà mai conoscere la crisi.