Angelo Aquaro, la Repubblica 25/07/2009, 25 luglio 2009
LA STRADA DI KEROUAC SI COLORA DI VERDE
Chissà che cosa direbbe Jack Kerouac. Vabbè che quell´intellettuale tutto jazz e introspezione, diventato suo malgrado simbolo della chiassosa cultura rock, la Route 66 la cita giusto di sguincio in «On The Road».
Però pensi alla striscia d´asfalto infinita ed è subito Beat Generation: chilometri, alcol, sesso e libertà (per tacer del fumo). E allora chissà che direbbe il vecchio Jack a vedere l´asfalto, oggi, inseguito dai filari delle pale eoliche: sognando California, sembra la Mancha di Don Chisciotte. Comunque è fatta: quel che resta (ed è un buon 80 per cento) della strada più avventurosa del mondo, sta per subire un trattamento ecologicamente corretto firmato Green Roadway, compagnia specializzata nel business in cui Obama sta spingendo l´America.
La notizia, ieri, è finita sul San Francisco Chronicle, ma rimbalza da mesi sui network Usa anche per l´incalzante pressing della Green Roadway, che sta siglando contratti milionari in ogni stato proponendo l´«esclusiva tecnologia per sviluppare energia alternativa, solare, eolica, geotermale» sulle autostrade. La base d´asta segue ovviamente la «capacità stradale», e va dai 125 mila dollari nel Montana dei cowboy al milione e 500 mila dollari nella California auto-dipenendente. La trovata tecnologica dell´azienda, nata dall´idea di Gen Fein, ex media manager, ed Ed Merrit, scultore, entrambi a digiuno di ecobusiness, naturalmente è un segreto industriale. Spiega però nel suo blog l´esperto Yoni Levinson: «Già nell´Oregon il Solar Highway Project prevede una serie di pannelli per catturare le luci che illuminano l´autostrada di notte. Nel Massachusetts si pensa di sfruttare con le pale eoliche il territorio che costeggia le highway». Ma qui il progetto è diverso: l´energia, attraverso generatori piazzati sotto l´asfalto, dovrebbe arrivare proprio dal movimento dei veicoli. Funzionerà? Alla Green Roadaway sostengono che 10 miglia "trattate" potrebbero generare energia sufficiente per 2mila case. «Ma non sappiamo ancora se si tratta di un modo di catturare l´energia che altrimenti andrebbe dispersa», frena Levinson, «o di sfruttare la forza cinetica prodotta dal movimento dei veicoli, spingendoli fra l´altro a bruciare più gas».
Certo è che l´idea di dipingere di verde la Route 66 si è dimostrata vincente dal punto di vista dell´immagine. «Strada madre», la battezzò John Steinbeck, che sul suo asfalto sciolse i sogni degli okies, i migranti in fuga verso la California dal Dust Bowl, le tempeste di polvere che sconvolsero il paesaggio e l´economia nell´America di «Furore». E Madre di tutte le strade l´hanno chiamata gli americani, che da 1926 hanno affidato a quella striscia di 3.945 chilometri il compito di unire Chicago, allora cuore industriale del Paese, con la California che scopriva il boom.
Un´altra America. Insidiata dallo sviluppo di una rete stradale più efficiente, la Main Street degli States è stata ufficialmente pensionata nel 1985 per trasformarsi in una specie di museo a cielo aperto, con i vecchi distributori di benzina di Kingman, Arizona, che oggi sfornano memorabilia per i turisti. Ma il fascino della strada e della libertà, che 15 anni prima di Kerouac spinse Bobby Troup, in viaggio con la moglie, a scrivere «Get Your Kicks On Rooute 66», immortalata da Bing Crosby agli Stones, vive ancora. Charles Kuralt, mitico volto Cbs, diceva: «Se vuoi vedere l´America, molla le autostrade, segui le vie meno battute». Oggi, la strada che doveva unificare il Paese è diventata, ironia della storia, proprio questo: un reticolo di mondi minori. Riuscirà a rinascere con la rivoluzione verde?