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 2009  luglio 25 Sabato calendario

Chi segue le vicende della finanza aveva dubbi, da almeno tre anni, che Luigi Zunino e la sua controllata Risanamento avrebbero fatto il botto? In realtà, dubbi non ne avevano neppure gli architetti di fama mondiale che erano stati incaricati da Zunino di progetti straordinari, come quello di S

Chi segue le vicende della finanza aveva dubbi, da almeno tre anni, che Luigi Zunino e la sua controllata Risanamento avrebbero fatto il botto? In realtà, dubbi non ne avevano neppure gli architetti di fama mondiale che erano stati incaricati da Zunino di progetti straordinari, come quello di S. Giulia a Norman Foster e quello delle ex acciaierie Falck di Sesto S. Giovanni a Renzo Piano. Ambedue erano da molto tempo preoccupati che la loro opera o non venisse completata (Foster) o addirittura iniziata (Piano). A Piano l’immobiliarista aveva commissionato anche il progetto del mega appartamento che aveva comprato per abitarvi, in una delle più fascinose piazzette di Milano, con un giardino enorme e un costo complessivo di 50 milioni. Un investimento che indica da solo la dimensione nella quale aveva preso a vivere e a investire l’immobiliarista che un giorno si spostò a Milano da Casale Monferrato, stabilendo un contatto con il cardinale della finanza italiana, Giuseppe Garofano. Il quale lo aiutò a portare in Borsa la sua società, poi fusa con Risanamento, la storica immobiliare con proprietà prevalentemente a Napoli, che la Banca d’Italia aveva ceduto ad Alfio Marchini e che questi aveva girato a Zunino. Le relative fortune Zunino le aveva fatte lavorando per Bernardino Caprotti, il formidabile inventore di Esselunga. L’immobiliarista di Casale metteva la sua faccia, acquistava i terreni, costruiva e Caprotti comprava, evitando così di scatenare le reazioni delle Coop e di chi per decenni ha ostacolato lo sviluppo della grande distribuzione. Un lavoro molto redditizio e di spessore tecnico, viste le competenze di Caprotti sugli immobili dove hanno sede i suoi supermercati. Quando sbarcò a Milano, Zunino era perciò un solido immobiliarista, capace di superare anche il forte trauma di una bruttissima offesa a una gamba per un incidente in moto. La crescita esponenziale del mercato immobiliare lo ha esaltato fino a condurlo in una dimensione non più in contatto con la realtà. Non c’era attività o affare immobiliare che non lo vedesse protagonista con la sua faccia scavata, la magrezza fra l’ascetismo e la malattia, anche se molti sapevano di alcuni suoi dolori familiari per una figlia effettivamente malata e per la quale si era impegnato ogni giorno a seguirne anche lui la dieta. Ma alcuni pensavano che la vicinanza di una moglie intelligente, simpatica e capace non poco negli affari lo avrebbe aiutato a ritornare con i piedi per terra. Invece, mentre già il mercato immobiliare americano dava segni pesanti di crollo, ecco che lui comprava grattacieli a New York, senza contare gli interi blocchi comprati a Parigi, mentre appunto si lanciava nella mega-operazione di S. Giulia. Un’operazione che secondo alcuni esperti del settore era segnata in partenza dal prezzo cui lo stesso Zunino aveva conferito a Risanamento i terreni aquistati in prima persona precedentemente da Montedison (S. Giulia si chiamava prima Montecity e Garofano conosceva molto bene quei terreni). Per il valore di carico dei terreni, alcuni calcolavano che per guadagnarci, o più semplicemente pareggiare, Risanamento avrebbe dovuto vendere i begli immobili progettati da Foster almeno a 7-8 mila euro al metro quadrato, un prezzo quasi da centro di Milano (all’epoca), anche se i colpi di acquisto condotti dallo stesso Zunino (per esempio con un immobile ex Ras in via Marina) avevano fatto salire alle stelle i prezzi massimi. Una manovra che ricordava molto gli ultimi colpi, prima del crollo, ma senza fallimento e pagando tutti i debiti, di un altro immobiliarista d’assalto di anni prima: l’amico di Silvio Berlusconi, Renato Della Valle, che pagò l’ex grande albergo di via Manzoni, sede a Milano della Banca Popolare di Bergamo, ben 14 milioni di lire al metro quadrato. Fu per Della Valle l’inizio della fine. Ma appunto Della Valle non aveva le sue società quotate in Borsa e comunque ha pagato tutti i debiti, grazie anche all’aiuto di Berlusconi. E in effetti anche Zunino per vari mesi ha potuto contare sullo sguardo benevolo dello staff del presidente del Consiglio, il quale, quando Marco Tronchetti Provera aveva deciso di vendere La7, ripensandoci solo all’ultimo momento, aveva auspicato che uno dei compratori fosse proprio Zunino. Ma a far perdere a Zunino definitivamente la dimensione della realtà è stata l’idea del raddoppio, cioè l’idea non solo di S. Giulia ma appunto degli immensi terreni delle ex acciaierie Falck. Quei terreni erano del primo immobiliarista di Sesto S. Giovanni, la famiglia Pasini, che era stata largamente affidata dall’allora Banca Intesa. L’istituto aveva compreso che i Pasini non avevano il respiro per un progetto di quelle dimensioni e quindi favorì il passaggio a Zunino, che con S. Giulia aveva dimostrato visioni ampie e coraggio da vendere. Il giorno in cui Zunino inaugurò, con una festa megagalattica e con la presenza, aihmè, perfino del principe Vittorio Emanuele, da poco legittimato a rientrare in Italia e buon amico dell’immobiliarista per la comune frequentazione di Cavallo, ai numerosissimi invitati importanti e meno importanti si presentò questa visione. Varcato il cancello d’ingresso all’immenso quartiere c’era un grandissimo tavolo: intorno al tavolo Zunino circondato un po’ da tutti gli immobiliaristi di Milano, dai nuovi palazzinari di Roma con Danilo Coppola in testa, ma anche da alcuni banchieri che già stavano battendo una china pericolosa, con in testa l’amministratore delegato e deturpatore della Banca popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani. Per chi sa annusare le vicende perverse della finanza, quello era un quadretto inequivocabile. Comunque, un po’ tutte le banche per più anni si sono fatte struzzi, continuando a finanziare quell’immobiliarista dal volto ascetico, che sembrava saper cavalcare qualsiasi onda. I crediti hanno così superato 3 miliardi fra quelli della spremuta (da Zunino) Risanamento e quelli concessi alle società personali di Zunino, che nel frattempo, imitando Stefano Ricucci, aveva rastrellato perfino azioni Mediobanca per poter diventare uno dei maggiori azionisti, ancorché non invitato a partecipare al sindacato di controllo. Al punto che non pochi hanno pensato, maliziosamente, che fosse stata Intesa Sanpaolo a chiedere al finanziato Zunino di andare a mettere un piede in Mediobanca, essendo quella la stagione in cui non regnava proprio l’armonia a causa della fusione avviata tra Capitalia e Unicredit da Cesare Geronzi e Alessandro Profumo. Non pochi articoli di stampa avevano segnalato che Zunino era parte fondamentale di un giro vorticoso di immobili fra i nuovi palazzinari e a ogni passaggio il valore dell’immobile, finanziato da alcune banche compiacenti (il riferimento non è a Intesa), saliva enormemente. Tanto che anche Zunino si meriterà la definizione autarchica coniata da Ricucci di furbetto del quartierino. E mentre per il giro di immobili le informazioni erano frammentarie perché riservate, Zunino non poté fare a meno di comunicare al mercato di aver venduto l’Ipi, proprietaria del Lingotto di Torino, a Coppola. Il segno inequivocabile che Zunino aveva adattato a se stesso un famoso detto che era diventato mattone non olet. Come mai le banche hanno aspettato tanto a fermare l’erogazione dell’ossigeno a Zunino e il bubbone sta davvero esplodendo solo adesso? Incomprensibile se non si tiene conto degli intrecci che con la sua attività vorticosa l’immobiliarista aveva creato. Oggi, come MF/Milano Finanza ha pubblicato in esclusiva, le due maggiori banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno circa mezzo miliardo di crediti ciascuna, avendo saputo swappare, con operazioni di ingegneria finanziaria, parte del credito accordato a banche estere (in prima fila Royal Bank of Scotland). Tutto insieme il debito verso l’estero supera il miliardo e preoccupa non poco il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, per il riflesso che la possi-bile dichiarazione di fallimento sui rating delle banche italiane e anche del Paese. Per questo sono in corso attività frenetiche per trovare una soluzione diversa. Ma a dire basta è stata la Procura della Repubblica di Milano, con cinque pagine di requisitoria che a giudizio di alcuni avvocati non ha precedenti, tanto è dura non solo nei confronti di Zunino ma anche delle banche, per le quali, se agissero in aiuto dell’immobiliarista senza aver visto approvare un piano dalla stessa Procura, si configurerebbe ancora un reato di abuso di credito. Ancora, poiché la Procura, guidata dal procuratore aggiunto Francesco Greco, grande esperto di reati economico-finanziari, che ha messo anche la sua firma sulle cinque pagine, ritiene che in alcuni casi questo reato sia già stato commesso in passato. A confermare nel suo convincimento la Procura di Milano ha contribuito anche la farsa delle dimissioni di Zunino da presidente. infatti rimasto in un consiglio d’amministrazione che lo ha sempre assecondato. Ma quella di rimanere in consiglio non è l’unica decisione ancora una volta sganciata dalla realtà. Altrettanto irrealistica appare la richiesta di Zunino, durante la riunione plenaria delle banche di giovedì 23, di poter conservare in ogni caso una partecipazione del 25-30%. Come se la Procura non avesse già avviato un riesame totale delle operazioni con parti correlate compiute da Risanamento, nella prospettiva costante di Greco di tenere conto degli interessi eventualmente lesi dei piccoli azionisti che hanno comprato azioni Risanamento e di fare giustizia anche per loro. Nell’ultima riunione le due banche maggiori creditrici, Intesa e Unicredit, si sono almeno in apparenza avvicinate sulla posizione più intransigente di Alessandro Profumo, mentre fino a quel momento la banca più grande d’Italia, guidata da Corrado Passera, era stata più possibilista. Le soluzioni ipotetiche sono quattro: una robusta ricapitalizzazione accompagnata dalla parziale conversione dei debiti in capitale, la cessione di tutti gli asset a un fondo creato dalle banche, un concordato e, ultima, il fallimento. Una parola che rievoca Lehman Bros e che mette paura, ma che appare quasi scontata leggendo la requisitoria di Greco e dei suoi sostituti con cui hanno appunto avviato la richiesta di procedura fallimentare. Con le inevitabili, in questo caso, conseguenze penali. P.S. L’interessante e in certi momenti commovente presentazione del libro di dichiarazioni e immagini di Umberto Agnelli, a cinque anni dalla sua scomparsa, nella sala Giovanni Agnelli dell’Unione Industriali di Torino, il tardo pomeriggio di mercoledì 22, ha regalato al folto uditorio la conferma che il presidente della Fiat, Luca Montezemolo, pensa alla politica. accaduto quando lo stesso Montezemolo ha parlato della passione che lo prese quando organizzò la campagna elettorale per il Senato di Umberto. Enrico Letta, che gli sedeva accanto, ha sussurrato: non è mai troppo tardi_ E Montezemolo: non è mai troppo tardi. E più avanti, quando il presidente Fiat ha parlato della necessità di chi è leader di esserlo per il Paese anche in politica concludendo: mai dire mai_ Ma il momento più commovente, davanti a John Elkann, Sergio Marchionne, Gianluigi Gabetti e Allegra Caracciolo Agnelli, seconda moglie di Umberto, è stato quando il figlio Andrea ha raccontato dell’incontro con il padre, pochi giorni dopo la morte del fratello Giovannino. Mio padre era profondamente provato, ma quando sono entrato nella sua camera, alzando lo sguardo, rispondendo al suo principio di porre davanti a tutto, a parte la famiglia, il dovere e l’impegno, mi ha detto solo queste parole: è un fatto che da questo momento le tue responsabilità aumentano_ Il dovere, secondo Umberto. (riproduzione riservata) Paolo Panerai