Walter Rauhe, Panorama, 30 luglio 2009, pag. 86, 30 luglio 2009
WALTER RAUHE PER PANORAMA 30 LUGLIO 2009
Si erano tanto amati.
"Grandi problemi richiedono grandi soluzioni". Era questo lo slogan sul quale venne cementato l’accordo di governo della GroBe Koalition fra l’Unione cristiano-democratica di Angela Merkel e ciò che restava di un partito socialdemocratico (Spd) ancora traumatizzato dall’improvvisa uscita di scena di Gerhard Schroder, privato dello scettro di cancelliere per una manciata di voti. Ma i problemi in Germania, in quell’autunno del 2005, erano grossi. Con un disavanzo pubblico pari al 3,5 per cento del pil, l’ex locomotiva economica europea aveva infranto per il quarto anno consecutivo il patto di stabilità di Maastricht. Il numero delle persone senza un lavoro era salito a oltre 4 milioni e mezzo e l’economia era cresciuta appena dello 0,9 per cento, uno dei dati peggiori all’interno dell’eurozona. Le profonde e per certi versi coraggiose riforme al mercato del lavoro e al welfare imposte dall’allora coalizione di centrosinistra (Spd e verdi) di Schroder erano ancora troppo recenti per generare i loro effetti benefici sull’economia e sul mercato occupazionale (l’hanno fatto un paio di anni dopo, quando in cancelleria sedeva ormai Angela Merkel), tanto da spaccare in due la sinistra tedesca, favorendo l’ascesa del partito neomarxista Die Linke, fondato da Oscar Lafontaine e Gregor Gysi. A una socialdemocrazia profondamente indebolita dai conflitti interni e a un blocco conservatore uscito non certo vincente dalle elezioni anticipate del 18 settembre 2005 non restava che stringere una "grande alleanza" di governo, per affrontare assieme le sfide sul tappeto e ridare fiducia a un paese visibilmente indebolito e complessato. L’obiettivo era enorme e la buona volontà di entrambe le parti un buon preludio per un esecutivo allora deriso da molti e ritenuto al massimo come una soluzione transitoria che non avrebbe retto "più di due anni" come scrisse il settimanale Der Spiegel. Nel loro contratto matrimoniale, Cdu-Csu e Spd si erano accordati su una serie di punti significativi per il rilancio del paese. Anzitutto un’ampia riforma fiscale che da un lato ha portato l’innalzamento dell’iva dal 16 al 19 per cento (garantendo al fisco entrate supplementari pari a 23 milioni di euro) e dall’altro una riduzione dell’1,3 per cento delle trattenute in busta paga per le spese sanitarie e del welfare. Ma pure l’innalzamento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni, l’aumento degli assegni familiari a un massimo di 1.800 euro al mese per 18 mesi dopo la nascita di un figlio a carico, la costruzione di 2 milioni di nuovi posti in asili nido pubblici, l’introduzione di salari minimi garantiti per alcune categorie professionali, il proseguimento del programma di fuoriuscita dall’energia nucleare già avviato dal governo Schroder, l’introduzione di test attitudinali per conferire la cittadinanza tedesca agli immigrati, la costituzione di una piattaforma di dialogo con le comunità islamiche, il congelamento dei sussidi per disoccupati e delle pensioni d’anzianità, lo smantellamento dell’apparato burocratico e una riforma del federalismo con una spartizione più trasparente ed efficiente delle competenze politiche tra i Lander e lo stato... A 4 anni di distanza e con la nuova scadenza elettorale alle porte (si vota il 27 settembre), il bilancio della grande coalizione non è forse spettacolare, ma comunque migliore di quanto (soprattutto in Germania) molti osservatori politici siano disposti a riconoscere. Le 588 leggi varate con i voti dei partiti di questa maggiornaza trasversale non hanno forse cambiato l’assetto della Germania, guarendo le sue malattie congenite, però hanno favorito diversi programmi. Il numero dei disoccupati è diminuito (nonostante l’attuale crisi) di 1 milione di persone, il deficit pubblico è tornato per poco tempo al di sotto della soglia del 3 per cento e, se non fosse stato per il crac finanziario, avrebbe raggiunto l’anno prossimo quota zero. Negli ultimi 3 anni, l’economia tedesca è stata protagonista di un boom ed è tornata competitiva sui mercati mondiali superando nelle esportazioni per esempio quella degli Usa e tenendo molto bene alla concorrenza della Cina. La crisi, prevedibilmente, ha guastato non poco questo bilancio, riportando il deficit dello stato ben al di sopra del 4 per cento (65 miliardi nel 2010), costringendo il governo a piani congiunturali (85 miliardi), alla nazionalizzazione di banche private (Hypo Real Estate) e all’intervento pubblico in imprese malconce (Oper, Quelle). Sta di fatto che, confrontata ad altre potenze europee, la Germania naviga in acque più tranquille. Eppure, di GroBe Koalition non vuole improvvisamente saperne più nessuno, meno di tutti il cancelliere Merkel. "In una democrazia i cittadini devono poter scegliere" ha dichiarato già lo scorso inverno, confessando senza troppo pudore il suo nuovo amore per il partito liberale (Fdp) di Guido Westerwelle. Da allora non ha perso occasione per provocare gli alleati dell’Spd con richieste non comprese nel vecchio contratto matrimoniale del 2005, come il prolungamento delle autorizzazioni per le centrali nucleari ancora attive, la promessa di abbassare le tasse anche per i redditi più alti, l’esclusione categorica di nuovi pacchetti congiunturali, il no all’ingresso della Turchia nell’Ue e all’introduzione a tappeto di salari minimi garantiti valevole per tutte le categorie. Tutti punti sui quali con i socialdemocratici il dissenso è programmato e anche voluto, nel tentativo (per nulla scontato) di accentuare le poche differenze ancora esistenti fra un centrodestra moderato e un centrosinistra che per distinguersi è costretto a virare su posizioni ancora più di sinistra, già occupate però da verdi e Linke. Ma il programma elettorale che più conta in vista del voto a settembre non è certo contenuto nei contratti matrimoniali, vecchi o nuovi che siano. Ciò che conta sono l’immagine e la popolarità dei candidati in lizza per la cancelleria. E qui la partita sembra già conclusa in partenza. Secondo l’80 per cento dei tedeschi, il nuovo primo ministro sarà quello vecchio e si chiamerà Angela Merkel. Appena il 16 per cento invece dà ancora una possibilità allo sfidante socialdemocratico, e attuale ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier. Sono dati così schiacchianti ad avere convinto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ad accantonare la correttezza politica e il tatto diplomatico. Nel corso della visita di Merkel alla Casa Bianca, il 26 giugno, Obama l’ha tranquillizzata: "Ma di cosa ti preoccupi?" ha domandato alla sua ospite in procinto di aprire la campagna elettorale. "La vittoria elettorale ce l’hai ormai in tasca". Un’affermazione che non è certo piaciuta ai socialdemocratici di Steinmeier che, convinti di non potere ancora sconfiggere la Cdu di Merkel, puntano ormai a una riedizione della GroBe Koalition. Peccato che siano rimasti gli unici a tifare per questo modello.