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 2009  luglio 24 Venerdì calendario

OBAMA FINISCE SOTTO SCACCO SUL PIANO SANIT


Nè Iran né crollo del sistema finanziario, né Afghanistan né terrorismo: Obama si gioca tutto sulla sanità. Una riforma difficilissima ma ineludibile non solo perché dal contenimento dei costi per la salute dipende la tenuta del bilancio federale, ma soprattutto perché, per varare un piano davvero efficace, il presidente deve alterare i pesi del sistema tributario e convincere gli americani a cambiare il loro modo di usufruire dei servizi sanitari.

Chi pensava che si stesse discutendo solo di qualche autorizzazione in più per un’eco­grafia o delle agevolazioni fiscali sulle poliz­ze assicurative, scopre all’improvviso che un Paese impoverito dalla crisi e umiliato dalla sua incapacità di garantire un minimo di cure a 45 milioni di suoi cittadini è co­stretto a rimettere in discussione il model­lo sociale costruito nel Dopoguerra.

Una sfida politica da far tremare i polsi: per questo la battaglia parlamentare, che tutti si attendevano difficilissima, sta diven­tando addirittura feroce, con la maggioran­za democratica incapace di rispettare l’im­pegno di approvare la riforma almeno in un ramo del Parlamento prima della chiusu­ra estiva del Congresso e lo stesso Obama costretto a esporsi, più di quanto avrebbe voluto, non solo sui principi «nobili» della riforma, ma anche su contenuti che sono inevitabilmente indigesti.

Il presidente sa che sta rischiando grosso e l’altra sera, nell’ennesima conferenza stampa, ha fatto appello alla coscienza del­la nazione, invitando gli americani a non chiedersi solo «cosa c’è per me» nella rifor­ma, ma a guardare lontano. A sei mesi dal suo trionfale insediamento, Obama vive già un momento-chiave: quello di passare dal­la beatificazione dell’America e di un’opi­nione pubblica mondiale adorante a una Waterloo sulla sanità. la speranza per nul­la nascosta dei repubblicani, ma anche l’in­cubo dello stesso leader democratico che perde terreno nei sondaggi e, ormai, non può più «nascondersi» lasciando al Con­gresso la responsabilità delle scelte più deli­cate.

Il presidente ha ragione ad avvertire, co­me ha fatto ieri, che il sistema attuale è in­sostenibile perché i suoi costi stanno cre­scendo a un ritmo impressionante mentre, oltre ai troppi cittadini privi di cure medi­che, ci sono altri milioni di assistiti che si stanno impoverendo o sono addirittura co­stretti a dichiarare bancarotta perché non riescono a pagare i conti di medici, esami e ospedali non coperti dalle assicurazioni. Ma adesso, visto che sui contenuti della ri­forma e sui modi di finanziarla la stessa maggioranza democratica è profondamen­te divisa, tocca a lui indicare una soluzione investendo su di essa, oltre al suo carisma, una parte consistente del suo capitale politi­co.

 una scelta rischiosa, è chiaro, perché una riforma che copra anche chi oggi non ha alcuna assistenza e contenga i costi del sistema entro limiti sostenibili per un Teso­ro già messo alle corde dalla crisi finanzia­ria, lascerà l’amaro in bocca a un gran nu­mero di americani: non solo i ricchi e i be­nestanti ai quali i democratici vogliono far pagare con le tasse il grosso di una riforma che costerà almeno mille miliardi di dollari in dieci anni, ma anche quelli che oggi go­dono di ottime polizze assicurative fornite dai datori di lavoro. Per loro si delinea un prelievo fiscale su premi assicurativi fin qui «esentasse» e, soprattutto, un modo diver­so, più austero, di fruire dei servizi sanitari. La tentazione del Congresso è quella di approvare l’estensione del diritto all’assi­stenza sanitaria, rinviando ad una fase suc­cessiva gli interventi per la copertura delle maggiori spese. Obama si è fin qui lasciato aperte varie strade, ha giudicato «compati­bili » varie opzioni circolate in Parlamento, ma il rinvio delle misure di «austerità» sa­rebbe un suicidio economico e lui lo sa.

Già oggi l’America spende per la salute il doppio degli europei: se il governo offrisse l’assistenza ad altri 45 milioni di cittadini (tra i quali molti poveri, obesi e diabetici bi­sognosi di cure costose) senza modificare i meccanismi di erogazione dei servizi, l’ine­vitabile esplosione della spesa farebbe salta­re un bilancio federale che è già in condizio­ni assai precarie.