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 2009  luglio 24 Venerdì calendario

Nei Paesi arabi una liquidità enorme L’Italia potrebbe sfruttarla emettendo «sukùk»- Coordinatore del Comitato strategico per lo sviluppo e la tutela all’estero degli interessi na­zionali in economia (creato nel 2008 da Tremon­ti e Frattini, soprattutto per dialogare con i fon­di sovrani), partner di uno dei primi studi legali italiani, advisor internazionale, Enrico Vitali ha un particolare interesse per la finanza islamica

Nei Paesi arabi una liquidità enorme L’Italia potrebbe sfruttarla emettendo «sukùk»- Coordinatore del Comitato strategico per lo sviluppo e la tutela all’estero degli interessi na­zionali in economia (creato nel 2008 da Tremon­ti e Frattini, soprattutto per dialogare con i fon­di sovrani), partner di uno dei primi studi legali italiani, advisor internazionale, Enrico Vitali ha un particolare interesse per la finanza islamica. Un settore a cui la Fondazione Formiche (dove Vitali siede nel comitato esecutivo) e la Fonda­zione Etica di Gregorio Gitti hanno dedicato re­centemente a Roma un seminario a porte chiu­se. L’incontro è stato occasione per fare il punto sullo sviluppo globale del nuovo mercato. E sul­la situazione in Italia. «Che nonostante la no­stra posizione di crocevia nel Mediterraneo è molto indietro rispetto a Paesi come la Gran Bre­tagna, la Svizzera o la Francia ”, dice Vitali, pre­cisando di parlare a titolo personale ”. Adesso per noi è strategico recuperare terreno. E lo di­co in un’ottica utilitaristica, non certo perché pensi che dobbiamo seguire i princìpi della sha­ria ». Nel 2007 l’Abi e l’Unione Banche Arabe fir­marono un memorandum con l’obiettivo di aprire la prima banca islamica in Italia entro il 2008. La stessa Abi e Bankitalia hanno avvia­to studi, qualche esperimento c’è stato, ma in sostanza non si è fatto niente. Per motivi solo tecnici o anche politici? «Far dialogare i due sistemi non è semplice, i rating e i ratio sono ancora carenti nella finanza islamica. Ci sono problemi tecnici, di liquidità interbancaria ad esempio, mentre nel micro, a livello di prodotti di investimento, è più sempli­ce. In Italia non credo ci siano pregiudizi an­ti- islamici: anzi, dialogare con il mondo musul­mano in campo economico è più semplice. Ma manca ancora un incontro tra il nostro ordina­mento e questi strumenti finanziari. Che an­drebbe soprattutto a nostro vantaggio». Perché la comunità musulmana è ormai nu­merosa? «Sì, la popolazione immigrata in Italia dai Pa­esi musulmani è cresciuta notevolmente ed è at­tiva negli affari. Ma un altro motivo è che la li­quidità di molti Paesi arabi oggi è enorme. Vero è che i fondi sovrani arabi investono già da noi, adattandosi alla nostra finanza. Ma con la corsa in atto tra governi occidentali per attirarli è chia­ro che offrire prodotti islamici agevolerebbe le cose. Senza dimenticare l’aspetto sicurezza». In che senso? «Gli attuali sistemi di raccolta del risparmio sono spesso usati per finanziare il terrorismo. Una banca islamica in Italia sarebbe più traspa­rente. Certo, se si vuole accentuare la sicurezza si perde competitività, ma si può trovare un equilibrio. Con una sola azione si otterrebbero più risultati». Cosa dovrebbe fare l’Italia? «Creare al più presto un comitato ad alto livel­lo, con rappresentanti del Tesoro, degli Esteri, degli Interni, dell’Abi e di Bankitalia, accanto ad esponenti della comunità musulmana e a esper­ti esterni, per formulare raccomandazioni e pro­getti. In Gran Bretagna esiste già. E poi, come è sta­to proposto al seminario di Roma, il governo po­trebbe lanciare un’emissione di sukùk , i bond islamici. Per un Paese con un alto indebitamen­to e necessità di finanziare infrastrutture come il nostro un’emissione di sukùk sarebbe perfet­ta. Finora solo un Land tedesco l’ha fatto. L’Ita­lia dovrebbe pensarci seriamente».