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 2009  luglio 24 Venerdì calendario

BANCHE MUSULMANE SOLO SFIORATE DALLA CRISI E IL GIRO D’AFFARI DI LONDRA SUPERA LA TURCHIA


Finanza classica. E se qualcuno ha invece registrato problemi seri o per­fino gravi, questo è dovuto all’impat­to del calo generale di liquidità e del­l’immobiliare, non al core-busi­ness », dice Nasser Saidi, ex ministro dell’Economia e vicegovernatore del­la banca centrale del Libano, oggi chief economist del Dubai Interna­tional Financial Centre, l’importante zona franca finanziaria dell’emirato e centro principale per i sukùk.

«Le obbligazioni islamiche, sem­pre destinate a finanziare progetti re­ali, sono il segmento in maggior cre­scita – continua Saidi ”. Nonostan­te il rallentamento generale prevedo che nel 2009 le nuove emissioni toc­cheranno i 27 miliardi di dollari, in gran parte lanciate da governi della regione. Anche vari Stati in Occiden­te sono intenzionati a seguirne l’esempio. Consiglio alla Repubblica italiana di considerare un’emissione di sukùk in euro o dirham per finan­ziare infrastrutture: sarebbe certo ben accolta nel Golfo».

Se altri economisti ritengono trop­po ottimistiche le previsioni di Saidi sul 2009, dato il forte rallentamento del mercato manifestatosi dal 2008, la ripresa per tutti è però già inizia­ta. «Nel secondo trimestre le emis­sioni di sukùk sono scese del 35% su base annua ma dai tre mesi prece­denti sono aumentate del 164% ”, nota Aafaq Khan, capo della finanza islamica alla Standard Chartered ”. Nel secondo semestre andrà ancora meglio».

Sono vari i motivi del recente boom del settore. «Soprattutto il cre­scere della popolazione musulmana in Usa e in Europa, che dopo l’11 set­tembre si è molto spostata sulle ”sue” banche così come ha fatto quella dei Paesi islamici. E poi il disa­stro partito dai subprime», spiega Malik Sarwar, amministratore dele­gato della società di consulenza Sarwar Wealth Advisors di New York. Che aggiunge: «L’Occidente dovrebbe imparare i tre principi ba­se che ci hanno salvato dalla dé­bacle. Il primo è il concetto ”kiss”, keep it simple stupid , ovvero transa­zioni semplici e chiare: il caso Ma­doff mostra che molti affidano il de­naro a gestori senza sapere in quali prodotti intricati e oscuri finisca. Il secondo è la fiducia: in Occidente le banche stanno licenziando e invece il servizio ai clienti è il punto crucia­le, ancor più in tempi difficili. Il ter­zo è la responsabilità sociale degli in­vestimenti: ovvero il divieto ad esempio di creare denaro dal dena­ro, senza beni tangibili sottostanti, e quindi l’esclusione di strumenti spe­culativi come i derivati, ma anche gli hedge fund, tutti ad alto rischio». Dai critici, esterni o interni al siste­ma, si segnalano carenze e vari osta­coli da superare. Riguardo alla gam­ma di prodotti (da ampliare), alle spese per i clienti finali (da ridurre), alle differenze effettive con la finan­za occidentale (da accentuare al di là dei termini). Ma soprattutto riguar­do agli standard. Se la Malaysia ne ha adottati di nazionali insieme a un sistema di rating, altrove basta la fa­twa di almeno tre esperti per rende­re lecito un prodotto finanziario.

«Finora gli istituti si sono regolati individualmente, senza molta atten­zione al rischio sistemico o agli aspetti macroeconomici – ammet­te Ahmad Mohammad Ali, presiden­te della Islamic Development Bank, il colosso multinazionale con sede a Gedda ”. Ma ci serve la visione d’in­sieme, sapere chi è collegato a co­sa ». Sulla questione sono in corso difficili negoziati tra gli addetti al la­voro dei vari Paesi, divisi da inter­pretazioni più o meno rigide del­­l’Islam. Ma una volta superato l’osta­colo («anche gli eurobond all’inizio non avevano veri standard», dice Saidi), si prevede che il settore cono­scerà un ulteriore sviluppo. Forse non sarà vero che «la finanza islami­ca salverà l’economia globale», co­me qualche economista occidentale ha (provocatoriamente?) predetto. Ma è certo che il mercato del denaro in nome del Corano è uscito dalla nicchia degli specialisti e non vi tor­nerà.