Sandro Cappelletto, La Stampa, 24/07/09, 24 luglio 2009
LA LEGGENDA DEI BIMBI STREGONI
Accusati di portare disgrazia e di esercitare poteri occulti.
MANZA CONGO (Angola)
Portano male. Hanno addosso il feticcio maligno, vanno curati, a qualsiasi costo. «Mi hanno tenuto quaranta giorni con le gambe legate, mi hanno gettato pepe negli occhi, tagliato la pelle con delle lamette per far uscire il mio sangue marcio, fatto clisteri di infusi di erbe per liberarmi dalla maledizione», racconta Ines. Ha dieci anni, la famiglia degli zii che l’accudiva da quando era rimasta orfana, ne era ormai convinta: Ines soffriva di «feitiçaria», bisognava salvarla.
Come lei, nelle province angolane di Zaire, Uije e Luanda, sono decine di migliaia i bambini e gli adolescenti accusati di essere portatori di tutte le colpe. Maddalena, Maria, José, Pedro, Manuela.... Cacciati dalla famiglie di origine o adottive, costretti a vivere in strada, catturati da «santi guaritori» che si presentano come i «nuovi Cristi» o le «nuove Madonne» delle sette che si autodefiniscono evangeliche. Si offrono per curare questi ragazzini «malati» e attorno a loro organizzano i più atroci traffici: vendita di organi, mutilazioni, ricoveri a caro prezzo. Per ogni «guarigione», 150 dollari. Un’enormità, qui.
«Sono rimasto isolato per tre settimane, ma altri bambini sono stati rinchiusi per sei mesi. Ogni giorno venivano da me degli esorcisti, mi insultavano, mi picchiavano, mi chiedevano di confessare che ero posseduto da uno spirito maligno. Restavo per giorni senza cibo né acqua»: la testimonianza di una vera e propria tortura, riportata in un dossier curato dall’Unicef. Una tragedia di dimensioni crescenti, ricordata anche da Benedetto XVI nel suo viaggio africano; proprio dall’Angola il Pontefice ha chiesto alla Chiesa cattolica di «respingere tutte le superstizioni, che colpiscono soprattutto i più deboli, come i bambini».
Il fenomeno è recente, una conseguenza della guerra civile che per molti anni ha dilaniato l’Angola, smembrando famiglie, costringendole allo sgombero forzato da villaggi abitati da sempre, distruggendo realtà economiche anche solide, riducendo in povertà popolazioni che non conoscevano la miseria. Le antiche dinamiche sociali sono state stravolte, e le credenze tradizionali hanno subito violente deviazioni.
«La cultura Bantù, prevalente in diverse zone del Paese, attribuisce grande importanza al ruolo dei mediatori che sanno evocare il favore degli spiriti, comunicare con l’altro mondo e in questo modo ricevere potenti forze vitali» scrivono Helena Pérez e Casimira Benge, autrici del rapporto Unicef. «Questa forza è chiamata Kundu, ma se viene manipolata per scopi distruttivi o per interessi personali che non sono quelli della comunità, si trasforma in forza negativa: Kindoki, o stregoneria. Adesso questi bambini, ritenuti colpiti dal Kindoki, sottoposti a ogni tipo di sopraffazione, devono recuperare il diritto a una crescita senza violenza».
A questo recupero si dedica un progetto che coinvolge il governo angolano, organizzazioni non governative italiane, l’Unicef e l’Università di Coimbra, in Portogallo. Un percorso che avanza a fatica, come sempre accade quando si tratta di modificare realtà sociali che affondano le radici in dinamiche culturali e religiose arcaiche.
«La stregoneria esiste sin dai tempi dei nostri antenati, ma non avevo mai visto prima d’ora bambini cacciati dalle famiglie, costretti a vivere in strada con l’accusa di stregoneria. Questo accade perché noi africani abbiamo un’assoluta necessità di comprendere le cause di ogni avvenimento - ad esempio la guerra e la miseria che ha portato - e di individuare i responsabili. E i bambini non si possono difendere», spiega Nkanga Guimaraes, attivo all’Unicef di Luanda.
«La prima cosa di cui abbiamo bisogno sono dei formatori, naturalmente angolani, disposti a comprendere la complessità del problema», insiste Daniela Ruzzenenti, presidente della Ong Amigos de Angola. Lavora da troppo tempo a progetti di cooperazione per farsi illusioni sulle recenti decisioni del vertice G8 dell’Aquila. Conosce le cifre, sa che l’80 per cento delle somme destinate al Terzo mondo rimane impigliato, in partenza o in arrivo, nelle reti fittissime della corruzione; che l’Africa è il Paradiso dei progetti incompiuti, abbandonati, falliti. Citando Joseph Ki-Zerbo, il più acuto filosofo e storico dell’Africa contemporanea, dice che «il solo aiuto che serve davvero è quello che aiuta a fare a meno dell’aiuto».
E tuttavia, assieme ad alcuni Padri Cappuccini italiani, e con l’appoggio di Pedro Sebastiao, governatore della provincia dello Zaire, ha realizzato per questi bambini un centro di accoglienza a Manza Congo. Funziona bene, le famiglie lo frequentano con speranza. «Ma quando i ragazzini riescono a superare lo choc delle violenze subite, quando si persuadono di non essere ”streghe”, abbiamo il dovere di farli studiare, mandarli alle scuole superiori e all’Università, a Luanda, la capitale. E per questo c’è ancora bisogno di aiuti, nonostante tutto».