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 2009  luglio 23 Giovedì calendario

«ERO DIVENTATO MUTO MI SALVO’ IL PROFESSOR PASOLINI»


Lo scrittore: lo conquistai con un tema e ricominciai a parlare

Nel suo studio che affaccia su Castel Sant’Angelo a Roma, Vincenzo Cerami, scrittore, sceneggiatore e altro, giura che lui il twist lo balla meglio di quanto si pos­sa pensare vedendolo accennarne qualche passo nello spettacolo Italia mia. «Sul palco mi prendo un po’ in giro. Ma non sono così goffo in real­tà. Sono stato un atleta, giocavo nel glorioso Frascati e sono stato convo­cato nella nazionale giovanile di rugby. Ero cattivissimo come tutti quelli del Frascati. Poi mi cadde uno di 200 chili proprio sul piede e la mia promettente carriera di rugbista finì. Ecco, uno che mi cambiò la vita è quel tipo di due quintali che mi franò addosso quel giorno all’Acqua Aceto­sa ».

Mentre Cerami balla il twist sul rit­mo di una canzone inconfondibil­mente anni Sessanta («La radioattivi­tà un brivido mi dà. Ma tu, ma tu, ma tu di più»), scritta da Michelangelo Antonioni per il film L’Eclisse , biso­gna fare un flashback. Tornare indie­tro di quasi 60 anni. Inquadrare (in­terno giorno) l’aula di una scuola di Ciampino e una donna, la mamma di Cerami, con il suo bambino per ma­no, che si raccomanda a un professo­rino giovane e magrissimo, occhiali neri, accento del Nord. Dice la donna: «Vincenzo è timidissimo. L’anno scorso l’hanno bocciato perché non rispondeva mai alle domande. Biso­gna capirlo, è stato malato». Il profes­sore dà una bottarella affettuosa sulla testa di Vincenzo e lo fa accomodare in classe. Lui, ripetente di prima me­dia, va a sedersi all’ultimo banco e non apre bocca. Succede così da quando si è trasferito da Roma a Ciampino per questioni di salute.

«Avevo avuto la difterite. Ero di­ventato cieco a un certo momento. Stavo per morire. Mia madre andò a chiedere la grazia alla Madonna del Divino amore e avvenne il miracolo evidentemente. Guarii però mi chiu­si in me stesso, non parlavo con nes­suno. Per farmi compagnia, mi rac­contavo da solo delle storie. Sognavo di essere un’altra persona, in un altro posto». Però quel professorino nuo­vo, il 28enne Pier Paolo Pasolini, gli sta simpatico perché è un asso a gio­care a pallone («partite interminabili nel giardinetto della scuola») e anche perché all’ultima mezz’ora di lezione legge alla classe un romanzo russo av­vincente e interminabile: «Non vede­vamo l’ora che ci leggesse la nuova puntata».

Cerami si spremeva le meningi per trovare un modo per poter parlare con quel professore così in gamba che se scrivevi «strazzio» non te lo se­gnava con la matita blu, in quanto er­rore grave. Per il prof Pasolini scrive­re strazio con due zeta era un errore che veniva dalla lingua parlata e per­ciò non era grave. Gli errori da segna­re in blu, per lui, erano altri. Erano i luoghi comuni, le ruffianerie. A Cera­mi piaceva quel professore che per ve­nire a scuola prendeva ogni mattina due autobus più la littorina. Doveva trovare la maniera per fargli capire che non era scemo. L’occasione ven­ne quando Pasolini diede un tema li­bero: «Una domenica in montagna». Cerami capì che era la volta buona. «A ripensarci non era proprio la trac­cia giusta per dei ragazzi di Ciampi­no. Era un tema da friulani. Che ne sapevamo noi di montagne? Io ne ave­vo visto solo una, il Terminillo, e per giunta una domenica d’estate. Una montagna con ghiaccio e neve non sa­pevo come era fatta». Gli tocca inven­tare, scrive con fu­ria, a stento riesce a stare dietro alla pen­na. «Mi inventai un Terminillo con le va­langhe di neve che precipitano a valle, dove a un certo punto mi perdo e mi trovo davanti al­lo Yeti. Allora scappo terrorizzato ma lui mi insegue...».

Consegnato il foglio protocollo con il tema, Cerami torna a casa con­tento. Col passare delle ore, il suo umore cambia in peggio: «Avevo pau­ra di aver esagerato. La notte non dor­mii. Mi dicevo: il professore penserà che sono davvero un matto, un mito­mane. L’Abominevole Uomo delle Ne­vi al Terminillo. Ma dài!». In piena notte, preda dell’ansia, Cerami si al­za, accende la luce e si mette a riscri­vere il tema narrando come erano an­date davvero le cose al Terminillo. «Descrissi una gita di una noooia mortaaale. Invece che lo Yeti solo mucche e mosche e tafani e le cacche enormi delle mucche sui prati. Avevo scoperto il realismo, la mia futura po­etica ». L’indomani Cerami va a scuo­la. In cartella ha il tema nuovo pronto a proporre uno scambio al professori­no («mi sono sbagliato, il mio tema vero è questo, l’altro è da buttare, non so cosa mi è preso»). Pasolini en­tra in classe. Aria severa, ufficiale. Di­ce: «Cerami Vincenzo, in piedi». Dio, è la fine, la pubblica ignominia. Paso­lini estrae un foglio dalla mazzetta dei temi corretti. E legge con la sua voce in falsetto la storia del ragazzo che incontra l’Abominevole Uomo delle Nevi sul Termi­nillo. un successo incredibile. Oggi di­rebbero una standing ovation. «Mi fece un effetto. Non vedevo l’ora di scriverne un altro. Senza sa­perlo, avevo scoperto la letteratura. Mi cambiarono la vita quel professori­no e quel tema. Da allora, in verità, io non ho fatto altro che continuare a scrivere temi liberi».

Con uno di quei temi liberi diven­tò autore di successo («Il borghese piccolo piccolo»). Con un altro di quei temi liberi ha vinto con Roberto Benigni l’Oscar per «La vita è bella». Ed è legata a quel tema anche la sua vita affettiva. Un giorno Pasolini gli presentò una sua cugina, venuta a studiare a Roma: «Vincenzo, per favo­re, portala in giro, falle conoscere la città». Quella ragazza è poi diventata la moglie di Cerami.