Bill Emmott, Corriere della sera 23/7/2009, 23 luglio 2009
USA E INDIA FIDANZATI PER AMORE (E PER L’INTERESSE DI FRENARE PECHINO)
Se sei l’unica vera superpotenza mondiale, allora tutte le regioni della Terra rivestono ai tuoi occhi un’importanza cruciale. Per questo motivo, ogni qualvolta il presidente Barack Obama o il suo segretario di Stato, Hillary Clinton, parte per un giro di visite all’estero, ama ripetere che le alleanze o i rapporti con questa regione o quel Paese sono assolutamente vitali. Nel caso dell’India, dove la Clinton ha appena concluso una visita di cinque giorni, queste affermazioni sono vere. E, caso insolito, sono vere non solo per gli interessi immediati dell’America, ma anche per le sue strategie a lungo raggio.
Un presidente americano, specie se ha avuto come predecessore George W. Bush, è costretto ad affrontare in politica estera ostacoli ben più ardui che non le normali relazioni e gli impegni concreti che intercorrono tra gli Stati. Il lungo elenco dei problemi è dominato da Iraq, Iran, Afghanistan e Pakistan, sia per i violenti disordini in corso in tutti e quattro i Paesi, sia per il fatto che le forze armate americane sono attive nel territorio di tre di essi. Alla lista si possono sempre aggiungere Israele e Palestina, a ovest dell’Iraq, e i rapporti spesso infidi tra l’America e la Russia, a nord, e la Cina, in Estremo Oriente.
Nel bel mezzo di questo coacervo di problemi si trova l’India, che tuttavia incarna un raro esempio di rapporto altamente costruttivo. La più grande democrazia della Terra, con oltre un miliardo di abitanti e una delle economie emergenti più vivaci del Pianeta, è di cruciale importanza per gli Stati Uniti, innanzitutto per i suoi legami con il Pakistan, un Paese oggi travagliato da sommosse e ribellioni. L’India è stata la vittima eccellente della violenza pachistana lo scorso novembre, quando i terroristi addestrati in Pakistan hanno sferrato il loro attacco a Mumbai.
un avvenimento che complica le cose in questa parte del mondo, perché quando simili attacchi si verificano sul suolo indiano, la tentazione di reagire imbracciando le armi contro il Pakistan è davvero fortissima. A novembre scorso, il governo ha esercitato la massima moderazione e cautela, ma se ci fosse un nuovo attacco come quello di Mumbai, quasi certamente l’India risponderebbe – come minimo – con bombardamenti aerei. lecito supporre che proprio per questo motivo la Clinton abbia compiuto il gesto simbolico di soggiornare al Taj Mahal Palace Hotel a Mumbai, uno dei bersagli dei terroristi lo scorso novembre. Per lo stesso motivo ha evitato di ripetere l’errore del ministro degli Esteri britannico, David Miliband, ai primi di quest’anno, il quale ha pubblicamente affermato che la causa degli attacchi terroristici va ricercata nell’instabilità del Kashmir, da lungo tempo ormai oggetto di contesa militare tra India e Pakistan. Potrebbe anche essere vero, ma tale affermazione perentoria è assai poco diplomatica.
Ciò che l’America vuole, viste le sue difficoltà in Afghanistan e in Pakistan, è un’India stabile, calma e decisa, che non si metta a rimestare nel torbido e incitare nuove violenze, e che non sia tentata, per un senso di ripicca anti americana, di stipulare nuovi contratti per la fornitura energetica con quell’altra spina nel fianco dell’America, ovvero l’Iran.
Pertanto l’India svolge un ruolo cruciale nelle imminenti decisioni americane in politica estera. Ma il suo ruolo a lungo termine si rivela, se possibile, ancor più determinante. L’ascesa dei Paesi asiatici è già diventata un luogo comune globale. L’idea che il potere economico e politico si stia spostando verso l’Asia è anch’esso un cliché. Ma che peso avrà tale spostamento? Rappresenterà una minaccia per l’America?
La risposta è che potrebbe rivelarsi tale se «l’ascesa dei Paesi asiatici» significherà in realtà l’affermazione della Cina, che raggiungerebbe così una posizione dominante nella regione e potrebbe pertanto stringere alleanze anti-occidentali tra le altre nazioni asiatiche. Oppure, se volesse perseguire le sue ambizioni di egemonia, la Cina potrebbe essere tentata di rinfocolare le tensioni militari con i Paesi confinanti, o addirittura mirare a un’espansione territoriale. Poiché l’America, dal 1945 a oggi, ha sempre rappresentato la maggiore potenza militare in quest’area del Pacifico, simili interventi da parte della Cina rischiano di innescare un confronto diretto tra la nuova superpotenza e la vecchia.
Vero bastione difensivo contro tali pericoli è certamente l’India. Più si rafforza l’India, in termini sia economici che politici, tanto minori saranno le probabilità che la Cina si azzardi a stabilire il suo predominio sull’Asia o a minacciare i suoi vicini. Il rischio di uno scontro con l’India sarebbe troppo grande. Per questo il presidente Bush siglò due importantissimi accordi con il primo ministro indiano Manmohan Singh nel 2005: un programma di cooperazione per la difesa e un accordo per fornire tecnologia e materiali per lo sviluppo dell’energia nucleare a scopi pacifici. Se pensiamo che l’India è stata alleata dell’Urss durante gran parte della Guerra fredda, queste recenti mosse rappresentano un ripensamento strategico fondamentale, su entrambi i versanti.
Barack Obama e Hillary Clinton sono democratici, non repubblicani, e si oppongono pertanto a quasi tutto quello che George Bush ha fatto – a eccezione degli accordi strategici con l’India e dell’approccio ai mutamenti a lungo raggio oggi in corso in Asia. La Clinton questa settimana ha esteso il programma difensivo per consentire e incoraggiare sia la vendita all’India di nuovissimi armamenti americani, sia la ripresa della cooperazione nei rispettivi programmi spaziali. Nulla di tutto ciò rappresenta una minaccia diretta alla Cina, ma la leadership cinese starà certamente sul chi vive.
(traduzione di Rita Baldassarre)