Pietro Bonazza, ItaliaOggi 22/7/2009, 22 luglio 2009
IL PETROLIO E’ IN VIA DI ESAURIMENTO E I GOVERNI LO SANNO
In questi giorni si leggono su giornali economici articoli che attribuiscono al prezzo del petrolio nel corso del 2008 e non solo ai subprime la causa principale della crisi mondiale in atto. Per i lettori di Italia Oggi non è una novità, dato che lo scriviamo da mesi, ma il fenomeno è di attualità, perché il prezzo del barile torna a puntare verso l’alto, nonostante manchi ancora una ripresa della domanda mondiale. Ci vuol poco a capire che la speculazione sta giocando al rialzo in attesa di una nuova vivacità economica. il solito problema della coperta corta: se il prezzo del petrolio cade, significa che siamo in recessione, se sale, vuol dire che dopo una ripresa fredda torneremo al «freddo della recessione», ma, mentre i politici si gonfiano d’aria come otri di ciaramelle, la cruda realtà dei numeri dovrebbe toglierci la voglia di parlare. Elenchiamo alcuni dati del 2008:
- l’energia elettrica in Italia viene prodotta dalle centrali termoelettriche (71,4%) con impiego di gas, petrolio o carbone, di importazione. Con l’idroelettrico (13,5%) non riusciremmo nemmeno a coprire l’illuminazione;
- la domanda di energia elettrica aumenterà dell’1,8% all’anno da qui al 2020 e le centrali nucleari non saranno pronte prima. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie) prevede un incremento del 60% dei consumi globali entro il 2030;
- il fotovoltaico, l’eolico e il geotermico non coprono nemmeno il 3,6%; l’eolico, poi, si disperde in buona parte per inefficienze di rete e mangia energia elettrica più di quanta ne produce quando Eolo si addormenta, a parte il danno ambientale che riduce stupendi paesaggi a cimiteri di guerra. Un fisico nucleare ha dichiarato recentemente che tutti i pannelli fotovoltaici installati nel mondo producono meno dell’1% dell’energia consumata dall’Italia;
- il carburante ottenibile da colture agricole (mais ecc.) fa aumentare il prezzo di pane, pasta, tortillas ecc. affamando le fasce più povere delle popolazioni;
- i combustibili fossili producono anidride carbonica, che finisce per rendere l’aria irrespirabile. Il problema è così grave che si tenta di stoccare l’anidride in gallerie sotterranee e di avviare un commercio delle quote, come fossero quote-latte.
Ci vuol poco a considerare che il petrolio sarà ancora signore del mondo per lungo tempo, finché non vi saranno fonti veramente alternative a basso costo, comunque concorrenziale rispetto al petrolio. A parte l’esaurimento naturale delle risorse petrolifere previsto per il 2040, c’è il rischio di dipendere da quello esistente fino all’ultima goccia, che sarà sempre più cara e renderà proibitivi i prezzi dei beni prodotti.
Alla fine sarà il mercato a dire la parola definitiva, ma questo ha una sola inequivocabile parola: il prezzo. Che si tassino il petrolio o le emissioni di anidride, il risultato non cambia, perché gli effetti si scaricano sempre sul consumatore finale. L’annullamento o almeno la riduzione delle emissioni non sono senza sacrifici economici per la collettività, perché gli incentivi a produrre energia con fonti non fossili si scaricano sui bilanci pubblici e la conversione dei processi produttivi a più ridotto assorbimento energetico toccano l’asse costi-prezzi. Il mondo cammina con una corda al collo e sarebbe ironico che a sopravvivere siano gli aborigeni dell’Australia e gli ultimi indios dell’Amazzonia, che non consumano petrolio e nemmeno candele steariche. I responsabili dei governi conoscono queste realtà, ma tacciono o sviano dal cuore del problema, perché, diversamente, dovrebbero proporre soluzioni impopolari con perdita di consenso elettorale. Il popolo, si sa, ama l’illusione ed è incline alla politica dello struzzo, a meno di toccargli il portafoglio. Occorre educare i consumatori pubblici e privati, che non si rendono conto della fragilità del benessere dipendente dall’energia elettrica, come dimostrano i black-out. Facciamo spesso ironia sul giudizio che l’economia è la «scienza triste», ma c’è poco da ridere. In economia non vi sono fatti né atti neutrali, perché sempre creano effetti negativi, che gli economisti chiamano «esternalità» e la globalizzazione aumenta tutti gli effetti pro e contro. Ricordiamo, per metafora, la II legge della termodinamica, che associa all’espansione la crescita dell’entropia (disordine).