Giovanni Bianconi, Corriere della sera 22/7/2009, 22 luglio 2009
IL CASO EMANUELA ORLANDI DIVENTA UN ROMANZO
Ormai è diventato quasi un genere letterario, che ha preso piede in America e s’è trasferito con successo in Italia, dove la materia prima non manca: raccontare i misteri irrisolti che s’intrecciano con la storia di un Paese attraverso il romanzo. Sulla scorta di sessant’anni infarciti di «triangoli rossi», stragi nere, terrorismi, mafie e corruzioni varie – con collusioni statali perennemente sullo sfondo – da noi l’esercizio è già più volte riuscito, e c’è da star sicuri che altre prove verranno.
Il motivo è piuttosto semplice: lo strumento dell’opera di fantasia (o almeno dichiaratamente tale) si sta rivelando il più utile per sciogliere intrighi rimasti inestricati nonostante fior di inchieste giudiziarie, approfondimenti giornalistici e studi storici. Laddove la saggistica è costretta a fermarsi per mancanza di riscontri il romanzo può invece procedere grazie alla licenza dell’invenzione, anche quando è ancorata a realtà non dimostrate o dimostrabili a prova di sentenza (o di tesi storiografica), ma sufficientemente visibili o immaginabili.
Intorno alla scomparsa di Emanuela Orlandi, la ragazza cittadina vaticana sparita a Roma nel giugno del 1983, da ventisei anni si rincorrono articoli su giornali e riviste, servizi televisivi, libri con tesi contrapposte e – naturalmente – un’indagine di polizia e magistratura ancora aperta dopo un quarto di secolo. Mancava un esercizio di narrativa, e adesso è arrivato. Non un «romanzo-verità» né un «romanzo-inchiesta », ma una storia che disegna un’ipotesi, basata su fatti ed eventi di contorno essenzialmente veri. Qui un giornalista-narratore (Ugo Barbàra, autore di altri apprezzati romanzi), avvalendosi della collaborazione e del materiale fornitogli da una giornalista (Rosa Polito, assidua frequentatrice del Palazzo di giustizia di Roma), ha avuto accesso ai verbali dell’ultima «super-testimone» del caso Orlandi (Sabrina Minardi, che fu legata sentimentalmente a uno dei capi della banda della Magliana, Enrico De Pedis) e ne ha tratto una ricostruzione buona per un racconto di suspense , con sufficienti dosi di verosimiglianza ( In terra consacrata ,
Piemme, pp. 458, e 18,50). L’investigatore è un personaggio inventato, così come altri, ma il romanzo è costellato di figure immaginarie che chiaramente ricalcano personaggi esistenti o esistiti: dagli stessi Minardi e De Pedis a monsignor Marcinkus e al banchiere Roberto Calvi, passando per altri protagonisti di quel periodo a cavallo degli anni Settanta e Ottanta in cui la finanza, la politica, il Vaticano e la massoneria si sono intrecciati con la criminalità più o meno organizzata. Compresa quella raccolta sotto l’etichetta della banda della Magliana. Che avrebbe avuto un ruolo nella scomparsa di Emanuela Orlandi così come la gang immaginata da Barbàra ce l’ha nel sequestro della ragazzina intorno alla quale ruota il suo mistero, Antonella Iacoangeli.
Chissà se un giorno si scoprirà che la soluzione del caso immaginata nel romanzo sarà quella vera, accertata dall’inchiesta giudiziaria. In attesa di saperlo, se mai ci si arriverà, ci si può abbandonare a questa ricostruzione accattivante e ben congegnata, che ha il pregio di far intravedere o rinverdire scenari certamente esistiti e troppo spesso dimenticati. Attraverso una buona lettura, che non guasta mai.