Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  luglio 22 Mercoledì calendario

CIAMPI E LA FESTA DELL’UNITA’ D’ITALIA: NON FACCIO DA ALIBI, PRONTO A LASCIARE


«Dicono che non ci sono soldi, ma in realtà mancano i progetti»

L’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi è stato Capo dello Stato dal 18 maggio 1999 al 10 maggio 2006 ROMA – «Se non si muoverà nulla, se non ci sarà niente di nuo­vo da parte del governo, a settem­bre lascerò il comitato dei garanti per le celebrazioni del centocin­quantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Un passo che mi sembra or­mai inevitabile, dato che non avver­to alcuna voglia di impegnarsi seria­mente in quest’iniziativa. Insom­ma, più che i soldi per metterla in cantiere, come mi sono sentito ripe­tere infinite volte nei mesi scorsi, quello che manca davvero è il cuo­re, l’ animus . Togliendo il mio nome di mezzo potrò almeno dire di non aver fatto da alibi a nessuno».

E’ deluso e amareggiato, Carlo Azeglio Ciampi. Il primo impulso per onorare nel 2011 il giubileo del­la Nazione è maturato quand’era an­cora al Quirinale e fu poi raccolto, nel 2007, dall’allora premier Roma­no Prodi. Il quale insediò l’organi­smo che avrebbe dovuto «monitora­re » e «verificare» i progetti delle ce­lebrazioni, il comitato dei garanti, appunto, affidando a Ciampi la pre­sidenza. Una scelta obbligata, se si considera che proprio a lui si deve l’unico serio tentativo di riannoda­re gli ideali d’origine della patria e di rinsaldare l’identità degli italiani. «Quello fu un lavoro di pedago­gia civile nel quale ho creduto mol­to e durato per il mio intero manda­to sul Colle, arginando a volte rimo­zioni, negazioni, revisioni, amne­sie, travisamenti inquinanti», dice l’ex capo dello Stato. «Qualcuno par­lò di una studiata ’politica delle fe­ste’, anche se lo sforzo fu per me del tutto naturale e, mi pare di po­ter dire serenamente, senza retori­ca. Nell’intento di far emergere sen­timenti relegati in un angolo e del quale la festa per il secolo e mezzo dell’Unità avrebbe dovuto essere il coronamento. Purtroppo, però... ».

Purtroppo, mentre l’anniversario si avvicina, l’unica iniziativa presa, e successivamente perfezionata dal­l’esecutivo Berlu­sconi, è uno scoor­dinato complesso di 11 opere pubbli­che sparse nella pe­nisola, cui si sono aggiunti altri 14 in­terventi (il nuovo palazzo del cinema di Venezia, un par­co costiero, un cam­po di calcio, una ca­serma convertita a campus universi­tario, perfino piste ciclabili, ecc.).

La prova che, come ha denuncia­to sul Corriere Ernesto Galli della Loggia, la nostra «classe politica, tutta, di destra e di sinistra, ha del­­l’Italia e della sua storia un’immagi­ne a brandelli e di fatto inesisten­te ». Infatti, tranne il caso di Torino e del Piemonte che hanno deciso di muoversi per proprio conto, non si è pensato né di allestire «una mo­stra memorabile», né un «grande museo della storia nazionale», né «una grande biblioteca». Solo un po’ di denari distribuiti «a pioggia», e «senza alcun criterio ideale o prati­co », dallo Stato «grande elemosinie­re ». Lasciando nell’inerzia i garanti, il cui numero era intanto stato allar­gato.

Spiega Ciampi, che concorda con la desolazione di della Loggia: «In realtà ci siamo riuniti più volte, la prima addirittura al Quirinale, ma è sempre mancata la controparte. Cioè il governo, cui competono le decisioni. Finché, tre mesi fa, scris­si al ministro della Cultura per solle­citarlo a elaborare un programma, facendogli capire il mio malessere». Risultato? «Bondi venne subito da me per scongiurarmi di rimanere nel comitato. E provvisoriamente accettai». Una visita che non ha avu­to un seguito apprezzabile, tranne la scelta del logo, per il presidente. E, fermo restando che ai garanti compete «soltanto valutare le inizia­tive culturali, non certo le opere pubbliche», il rammarico è che non sia stata presentata alcuna propo­sta. «Né minimalista né ambiziosa, come furono ambiziose e importan­ti le opere dei giubilei per i cin­quant’anni e per il centenario del­l’Unità ». «La scusa è che, tra crisi economi­ca e terremoto in Abruzzo, non c’è neppure un centesimo e che biso­gna dunque tirare la cinghia». Esat­tamente lo stesso pretesto utilizza­to l’otto marzo 1977, quando il go­verno abolì la festa della Repubbli­ca «per esigenze di risparmio» (la crisi a quei tempi si chiamava «con­giuntura »). Per cui si ebbero vent’anni di stop a ogni celebrazio­ne, compresa la parata militare ai Fori Imperiali. Una cosa impensabi­le a Parigi, a Londra o a Washin­gton. Quasi che l’orgoglio della no­stra storia contasse meno di un pic­cola rinuncia.

L’economista Ciampi ammette che il finanziamento possa rappre­sentare un problema, «ma di sicuro non insormontabile». Per lui baste­rebbe che alcuni ministeri («ad esempio quelli dell’Istruzione e del­la Difesa») scavassero tra le pieghe dei loro bilanci per trovare le risor­se necessarie a qualche iniziativa culturale mirata. E che magari attin­gessero «anche all’aiuto di soggetti privati che intendano contribuire al­l’evento, concedendo loro in modo accorto l’uso del logo ufficiale».

Basterebbero – insiste, cercan­do di «non essere solo negativo o depresso, quanto semmai realista» – «poche iniziative coerenti, secon­do un format da definire, nelle qua­li gli italiani siano in grado di rico­noscere la propria storia di popolo. Tali da dare luogo a momenti unita­ri e non convenzionali di ricordo e di festa. Penso a qualche studiata ri­visitazione del passato, svolta con una forte presa emotiva come quan­do monta l’onda del mare. Qualche appuntamento utile a risvegliare la nostra società dal torpore spirituale e culturale in cui galleggia».

Un’amnesia identitaria alimenta­ta forse anche dalla rincorsa dei di­versi particolarismi. Non a caso la Lega Nord (che magari nicchia sul­l’Unità d’Italia, festeggia invece in pompa magna la battaglia del 29 maggio 1176 a Legnano) produce la concorrenziale nascita di una Lega Sud. Con l’effetto di perpetuare la sindrome di un «noi diviso» tra gli italiani. «Non getti olio sul fuoco, per carità», sospira il presidente. «Gliel’ho già detto: mi appresto ad andarmene. Non c’è l’ animus per fa­re nulla, per i 150 anni di questo pie­trificato Paese». In definitiva: il suo timore è che, quanto a identità, stia­mo diventando malati di Alzhei­mer.