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 2009  luglio 22 Mercoledì calendario

IL CASO ZUNINO E LA LEZIONE PER LE BANCHE


Lo spigoloso profilo del cavalier Luigi Zunino proietta l’ombra di 3-4 miliar­di di sofferenze sui bilanci delle ban­che e, in particolare, mette alla pro­va la più esposta fra loro, quell’Intesa Sanpao­lo che all’atto di fondazione si propose – e non a torto date le dimensioni, la storia e la cultura – come banca del Paese, ma anche Banco Popolare e Unicredit. Tra sette giorni il tribunale di Milano deciderà se dichiarare fal­lita l’immobiliare Risanamento. Il giudizio è stato richiesto dalla procura di Milano dato il ripetersi dei decreti ingiuntivi e una volta pre­so atto che il revisore di PricewaterhouseCoo­pers lega il futuro della società non già ad un aumento di capitale ma alla cessione del patri­monio e alla rinegoziazione del debito. Nel­l’opinione della procura queste iniziative, affi­date per di più a un professionista, Salvatore Mancuso, privo di deleghe, configurerebbero una liquidazione di fatto che sarebbe più tra­sparente formalizzare attraverso le procedure di legge ovvero superare ricapitalizzando la so­cietà e assumendone la guida.

La sentenza è attesa. Potrebbe fare giuri­sprudenza nell’Italia alle prese con tante ri­strutturazioni imposte dalla crisi. Ma comun­que vada, la storia di Zunino, uomo d’affari piemontese dall’ego smisurato («sono il pilo­ta di Formula Uno del mattone», diceva di sé), rischia di rivelarsi fonte di imbarazzi per quan­ti gli hanno dato fiducia pressoché sulla paro­la, mentre alla clientela minuta si pratica l’esa­me del sangue com’è anche giusto che si fac­cia quando si maneggiano i soldi degli altri.

L’imbarazzo nasce dal bilancio 2007 della Zunino Investimenti Italia, la holding non quotata che possiede le immobiliari Tradim e Nuova Parva, anch’esse non quotate, e la Risa­namento. Ebbene, lo stato patrimoniale con­solidato esponeva 3,5 miliardi di debiti a fron­te di 96 milioni di capitale e riserve. La leva finanziaria era pari a 35 volte, e con una singo­lare postilla: la quota di capitale e riserve di Zunino e della moglie Stefania Cossetti era pa­ri a 421 mila euro.

Sull’immobiliare circolano molte teorie. Il campione dei campioni del ramo, Francesco Gaetano Caltagirone, lavora con una liquidità su cui aleggia la leggenda. Nel 2007, la Beni Stabili aveva 2,1 miliardi di capitale e 2,2 di de­biti finanziari. E gronda affitti e può contare sul prestigio di Leonardo Del Vecchio, il si­gnor Luxottica. Ma c’è anche chi ritiene che, per costruire o per comprare e vendere palaz­zi, si possa far leva con tanto debito su poco capitale. Quasi vent’anni fa, Salvatore Ligresti aveva spinto la Premafin fino ad avere 12 lire di debito ogni lira di capitale. E però Medio­banca gli organizzò il rientro attraverso un au­mento di capitale garantito obtorto collo dalle banche. Era una forzatura. E infatti la Borsa non sottoscrisse l’intera offerta. Ma fu comun­que una soluzione rigorosa. E forse anche per questa memoria – o forse perché Zunino era un antico cliente Cariplo, altro «giro» milane­se – l’attuale dirigenza di Mediobanca ha sempre manifestato riserve sulla tenuta del­l’immobiliarista, ancorché fosse entrato nel suo azionariato comprando un 4% con i soldi delle altre banche.

Il consiglio di amministrazione della Zuni­no Investimenti Italia, invece, ha presentato ai primi del 2008 un piano di dismissioni e di rinegoziazione del debito con le banche. Nes­sun aumento di capitale. Ma tanto basta agli amministratori per «garantire» la continuità aziendale e alla Reconta Ernst Young di conce­dere la certificazione dei conti, dopo averne evocato le tensioni finanziarie. Il bilancio 2008 non è ancora disponibile sul Cerved no­nostante siamo alla fine di luglio. La sua lettu­ra sarebbe interessante per vedere quale im­patto hanno avuto sui conti le poche dismis­sioni effettuate, tra cui quella in perdita di azioni Mediobanca, e la svalutazione verticale della partecipazione in Risanamento. Nell’atte­sa ci si chiede come sia stato possibile non mettere alle strette Zunino e costringerlo a metterci i soldi se li aveva o a passare la ma­no, a vendere aree e palazzi anziché emettere altri 220 milioni di obbligazioni. La crisi ha fat­to crollare i prezzi degli immobili, ma che sen­so aveva, anche prima, finanziare lo sviluppo di un costoso quartiere by Norman Foster nel­la periferia di Rogoredo quando la città di Mi­lano perde centinaia di migliaia di abitanti so­lo in parte rimpiazzati dalla cittadinanza extra­comunitaria?

Ora Zunino si è dimesso. Ma sono gli interi consigli di amministrazione che dovrebbero seguirlo se a questi organismi si riconoscono un ruolo e una responsabilità. Al di là della sentenza, tocca alle banche assumersi le loro responsabilità: avendo concesso crediti inesi­gibili sono azioniste di fatto. E poco importa se, a questo punto, la diversa qualità delle ga­ranzie – il palazzo affittato a Sky non è la stessa cosa dell’area vuota di Sesto San Gio­vanni – farà emergere anche la diversa quali­tà dei rapporti di banche e banchieri con il cavaliere che, con il quartiere di Santa Giulia, voleva conquistarsi la fama per i prossimi 200 anni.